giovedì 13 agosto 2009

Per possibilità


In una sera d'estate, con la mente forse non più libera, ma più distesa del solito, mi sono trovata nella penultima fila di un improvvisato cinema all'aperto, in realtà un parcheggio, in compagnia di anziane coppiette che avranno di certo aspettato la frescura per avanzare lente oltre le loro porte, considerando dai tratti rilassati e da quei sorrisi serafici stampati in faccia.
Mi sono trovata lì un po'per caso, un po'per nostalgia del Cinema d'Essai che c'è qui in inverno (sono gli stessi che lo organizzano), un po'perché sono tornata da 2 giorni dalle vacanze e ho trovato un paese completamente deserto e tutto, l'ambiente, le persone, il cielo stellato che si intravede tra i tetti, il film, sono stati tra il piacevole e lo spiacevole:avevano un sapore dolciastro inusuale.

E'stato facile captare in meno di 30 nanosecondi che ero la più giovane tra i seduti, e anche se è normale, non so perché continuo a stupirmene.
Ma il punto è il film, Tulpan, la ragazza che non c'era di Sergei Dvortsevoy.
La storia di per sé non ha niente di emozionante, ma era strano, in quel contesto, percepire il messaggio che mandava, era dissonante, banale in superficie ma spaventoso un po'più a fondo.
Parla di un giovane kazako che, dopo il servizio in marina, fa ritorno nell'arida steppa e che, per iniziare una vita sua autonoma, necessita di un gregge, ma prima di tutto di una moglie.
L'unica possibile non gli si concede.

Su questi spazi aperti e magnifici gravita una gabbia tanto pesante e spessa da non lasciar passare l'aria. La rete degli eventi, la stessa Natura e la vita nomade tengono imprigionati la gioventu'come la vecchiaia in un cerchio eterno senza via di scampo.

La possibilità di cambiamento, di un' evoluzione si spenge senza essersi forse mai accesa, come se aleggiasse un senso di morte e fissità su una terribile bellezza.

Il messaggio del film, almeno quello che io ho ricevuto, è precisamente il contrario di quello che cerco di vedere nel domani.
E'la possibilità di cambiamento che rende liberi di agire, ma la cosa atroce è che entro certe gabbie non si percepisce che c'è un controllo, non si sente, non siamo oggettivi se coinvolti.

Ma quanto saremo in gabbia?
Né un film, né un pubblico, né un cielo me lo sapranno mai dire.

2 commenti:

  1. forse già siamo in gabbia e non ce ne accorgiamo; altri che lo hanno capito di esserlo fanno finta di niente e continuano la loro vita perchè a loro va bene così; altri ancora se ne sono accorti...questi sono quelli che sognano: per ora sognano e sperano solo di trovare una chiave per uscirne...

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  2. Sì, sì, intendevo proprio questo.
    Non ho messo in dubbio l'esistenza di una gabbia: quella c'è in ogni sistema.

    Quello su cui non sono certa è quanto razionalmente si riesca a configurare la grandezza e la potenza di questa, in particolare della nostra.
    E'logico riconoscere che i valori e i costumi siano una sorta di schema preconfezionato che solo di rado è stato scelto con coscienza di causa e per questo mi è difficile trovare il limite tra il mio giusto, il mio senso di libertà e quello che con l'educazione mi è stato fatto percepire come giusto e come idea di libertà.

    Di fatto il concetto di libertà ha davvero innumerevoli sfaccettature. Che scoperta.

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