mercoledì 29 aprile 2009
Limite sottile
Da quando il Professore ha scritto, per rispondere a un mio post, che "il vostro futuro dipende dalla vostra capacità di essere visionari", questa frase ha continuato a tornarmi in mente, con insistenza.
Io gli ho risposto che sì, bisogna essere visionari, ma non dimenticarsi la realtà.
Senza rendermene conto ho scritto, con assoluta ingenuità, due semplici parole, non valutando la difficoltà della loro attuazione.
E' qui che sta il difficile: equilibrare ragione e follia, trovare l'equilibrio perfetto, o almeno provarci.
Nel nostro futuro lavoro dovremo essere in grado di muoverci tra la ragione e la follia: inseguire un' ipotesi assurda, quando si percepisce che magari lì c'è una soluzione, fidarsi della follia e della capacità di intuire, partendo comunque dal nostro sapere.
L'intuizione è indipendente da ogni forma di ragionamento e di preconcetto, per questo è rischioso e complesso affidarsi a lei.
Ma bisogna avere il coraggio di farlo.
Pochi minuti fa ho alzato la testa e ho visto, tra i miei tanti post-it, uno che parlava dell'argomento.
"Per me l'unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi d'ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi artificiali che esplodono tra le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno...oh!"
Questo discorso mi aveva colpita qualche anno fa,quando leggevo "On the road", e l'ho sempre lasciato lì, come a ricordarmi che la vita va saputa condire anche con un po'di follia, non dimentichiamocelo mai.
Io, purtroppo, spesso lo faccio.
Kerouac parla di pazzi, non di folli, ma credo che il messaggio di queste parole sia comunque in relazione alla follia.
Avrà avuto ragione Kerouac, aveva capito lui?
Forse sì.
martedì 28 aprile 2009
5°Assignment: Delitto perfetto o alito letale?
Ho tentato un approccio con PubMed diversi giorni fa e, devo amettere, che l'ho subito trovato difficile da utilizzare per la quantità di articoli presenti e per la mia incapacità di porre degli adeguati limiti.
Con il tempo, il mio atteggiamento è gradualmente migliorato.
Ho letto l'articolo del Professore e condivido la sua visione di attuale mondo scientifico: da una parte non bisogna buttarsi ad occhi chiusi in PubMed e, più in generale, tra la moltitudine di materiale disponibile: è un salto nel buio, ma con un po'di fortuna e di pratica dovremmo essere in grado di trovare quello che ci interessa.
Io ho fatto diverse ricerche ma voglio riportare quella sulla cadaverina e sulla putrescina.
Queste 2 sostanze mi furono presentate l'anno scorso dal mio Prof di Chimica Organica, che tra l'altro ricordo con piacere, e per il loro nome -assurdo direi- e la loro potenza destarono la mia curiosità.
Il prof ci disse che questi composti organici erano prodotti della decomposizione di proteine ed erano letali.
Tali sostanze vengono liberate nella carne in putrefazione, dopo qualche ora dal decesso.
Pertanto se si prelevavano da un cadavere e si iniettavano in un altro, l'altro moriva.
Delitto perfetto perchè la cadaverina e la putrescina si sarebbero formate anche nel nuovo morto e si sarebbero mescolate con quelle inserite prima, non lasciando alcuna traccia.
Ho cercato su PubMed e in Rete approfondimenti, ma purtroppo non ci sono riuscita.
Ma nel fare questa ricerca ho scoperto che queste sostanze sono tra i responsabili dell'alitosi.
Chi fosse interessato, questo è l'articolo.
Questa patologia è causata ,di solito, dalla proliferazione di batteri anaerobi nel cavo orale che producono, tra le varie sostanze, anche cadaverina e putrescina, che "donano" il cattivo odore all'alito.
Per chi fosse interessato all'argomento, decomposizione e simili, consiglio un libro "Stecchiti. Le vite curiose dei cadaveri" di Roach Mary, una giornalista che ha raccontato brillantemente la sua ricerca sui cadaveri donati alla scienza negli USA.
E'interessantissimo e scritto molto bene: sono dosate alla perfezione ironia e informazioni di carattere scientifico.
venerdì 17 aprile 2009
Il Vespasiano di viale Pieraccini
Cari colleghi,
mi stupisco che nessuno di voi si sia ancora preso la briga di parlare del vespasiano/orinatoio/pisciatoio (chiamatelo un po'come vi pare!) di Viale Pieraccini.
Quindi ho preso la parola.
Non mi dite che non l'avete mai notato, che non avete mai assistito all'indecente spettacolo di un caro vecchietto che continua il suo bisogno incurante di te, che stai mangiando, felice e beato, la brioche di prima mattina, e ti concedi una sorta di passeggiata prima di finire al Cubo?
IO DETESTO QUEL VESPASIANO.
Emana un odore repellente ed è l'anti-igienicità allo stato puro e, da notare, è alle porte di Careggi!
Un minimo di civiltà: ci sentiamo tanto sopra le parti, tanto civilizzati e avanti ma non siamo in grado di eliminare quello che c'è di diseducativo nella città, in una via frequentata come quella.
Diamo una bella immagine di progresso.
Ma la colpa non è del singolo che usufruisce del servizio, ma di chi lo permette.
Non ci sono bagni pubblici a Firenze.
Non oso immaginare la quantità di batteri/amebe/protozoi che felicemente stanno figliando mentre noi passiamo indisturbati lì accanto.
Epidemia di colera, dove? Nei pressi di Careggi.
Ovviamente è un esempio paradossale, per fortuna, ma quello che mi innervosisce è il principio e l'ipocrisia che stanno intorno a certe cose.
Ci lamentiamo e ingiuriamo con tutta la facilità di questo mondo contro le persone che imbrattano muri e porte di bei palazzi con le bombolette e che non lo possono fare, ma mettiamo in condizione tutti di utilizzare questo orinatoio: se c'è, si usa, è legale.
Bell'esempio.
Ora, non sono una squilibrata che non ha da pensare ad altro...sono altri i veri problemi dell'Italia e anche di Firenze, ma ho reputato opportuno dedicare un post al mio sdegno.
Tutto qui. Esprimete il vostro, se l'avete!
Se la cosa interessa anche a qualcun'altro magari si potrebbe fare una petizione, ma insomma, magari non l'avete neanche notato e, se l'avete notato, forse non vi ha disturbato abbastanza.
mi stupisco che nessuno di voi si sia ancora preso la briga di parlare del vespasiano/orinatoio/pisciatoio (chiamatelo un po'come vi pare!) di Viale Pieraccini.
Quindi ho preso la parola.
Non mi dite che non l'avete mai notato, che non avete mai assistito all'indecente spettacolo di un caro vecchietto che continua il suo bisogno incurante di te, che stai mangiando, felice e beato, la brioche di prima mattina, e ti concedi una sorta di passeggiata prima di finire al Cubo?
IO DETESTO QUEL VESPASIANO.
Emana un odore repellente ed è l'anti-igienicità allo stato puro e, da notare, è alle porte di Careggi!
Un minimo di civiltà: ci sentiamo tanto sopra le parti, tanto civilizzati e avanti ma non siamo in grado di eliminare quello che c'è di diseducativo nella città, in una via frequentata come quella.
Diamo una bella immagine di progresso.
Ma la colpa non è del singolo che usufruisce del servizio, ma di chi lo permette.
Non ci sono bagni pubblici a Firenze.
Non oso immaginare la quantità di batteri/amebe/protozoi che felicemente stanno figliando mentre noi passiamo indisturbati lì accanto.
Epidemia di colera, dove? Nei pressi di Careggi.
Ovviamente è un esempio paradossale, per fortuna, ma quello che mi innervosisce è il principio e l'ipocrisia che stanno intorno a certe cose.
Ci lamentiamo e ingiuriamo con tutta la facilità di questo mondo contro le persone che imbrattano muri e porte di bei palazzi con le bombolette e che non lo possono fare, ma mettiamo in condizione tutti di utilizzare questo orinatoio: se c'è, si usa, è legale.
Bell'esempio.
Ora, non sono una squilibrata che non ha da pensare ad altro...sono altri i veri problemi dell'Italia e anche di Firenze, ma ho reputato opportuno dedicare un post al mio sdegno.
Tutto qui. Esprimete il vostro, se l'avete!
Se la cosa interessa anche a qualcun'altro magari si potrebbe fare una petizione, ma insomma, magari non l'avete neanche notato e, se l'avete notato, forse non vi ha disturbato abbastanza.
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riflessioni,
sanità opere pubbliche
3°Assignment : Coltivare le connessioni
Questo articolo ha la capacità di non lasciare indifferenti: cosa che non va assolutamente sottovalutata.
Allo stesso tempo invia una moltitudine di stimoli che sono difficili da gestire e indirizzare verso un'unica tesi.
Procederò seguendo le questioni che mi hanno maggiormente colpita.
Innanzi tutto non riesco ad essere così pessimista riguardo alla nostra società. Del buono c'è, il difficile è saperlo vedere.
Riconosco che questa "abbia l'incapacità di cogliere il valore del nuovo" ma non mi sento di dover attribuire tutta la colpa alla scolarizzazione: il nuovo ha sempre creato disagio e non accettazione anche in società "primitive", intendendo come tali le società non "sopraffatte" dalla scolarizzazione.
Lo smarrimento e il timore che accompagna questo tipo di passaggio è insito nell'uomo e la Scuola, benché arma potentissima, non è in grado di combatterlo: magari potesse farlo.
Con questi presupposti riconosco però che la rigidità sia assolutamente negativa.
Il sistema di Istruzione/formazione è una cosa viva in quanto ha le caratteristiche che il Professore considera peculiari per la vita, e che io condivido: "ha capacità autogenerative ed è in grado di impiegare i propri componenti per trasformare o costruire nuovi componenti".
La Scuola essendo fatta di persone, le stesse che stanno dietro ad un nick, per definizione è un qualcosa, un'istituzione è riduttivo, di basilare e di potenzialmente potente.
Il problema però solo gli stessi individui che da una parte le danno vita e dall'altra uccidono parte del senso di tutto questo terreno che non è sterile, ma potrebbe essere molto più fecondo.
Sinceramente non riesco a concepire l'idea di apprendimento trasversale. Nei prossimi giorni leggerò "Lettera a una professoressa" ma per adesso rimango scettica. Non conoscendo a fondo il tipo di insegnamento non posso dare una mia vera visione a riguardo, ma almeno posso dire quello che ad oggi, con il mio schema di pensiero e con quel "qualcos'altro" che per fortuna non rientra nello schema, non riesco ad immaginare questo tipo di apprendimento.
Mi spiego.
La Scuola, secondo me, deve essere gerarchica, almeno in un primo momento.
Il compito del giovane è appunto quello di imparare dall'adulto che ha capito più di lui, per una serie di motivi.
Qualsiasi tipo di conoscenza, dalla più pratica e quotidiana alla più raffinata, deve essere inviata in modo da poter essere ricevuta.
Il problema sta nei mezzi di questo passaggio di informazione.
Ovviamente l'apprendimento dipende dall'intenzione e dall'attenzione di chi dà e di chi riceve, ma è colui che dà che ha la possibilità di modellare il ricevente affinché apprenda.
La curiosità del ragazzo nella norma deve essere stimolata dall'esterno in modo che lo stimolo si trasformi in mezzo di nuovo apprendimento. Il ragazzo eccezionale ha la sensibilità e la capacità di trovare in sé il senso e la ragione della ricerca interna ed esterna.
Purtroppo credo di poter dirmi nella schiera di quelli cosiddetti "normali", la cui curiosità viene sollecitata da qualcuno che sta sopra che è in grado di far sentire che lui "ha capito" se non tutto, che è impossibile, almeno qualcosa di complesso da raggiungere, e che è in grado in aiutarti a farlo a tua volta.
Senza volerlo sono giunta a parlare del Maestro, dell'anziano che ti prende per mano senza che tu te ne renda conto e che al momento giusto ti lascia percorrere la strada che da oscura e priva di significato è diventata, per la tua percezione, una danza di vita.
Questo è ciò che si spera di trovare all'interno della classe, noi nostalgici. E'raro, ma anche lì si può trovare il Maestro. L'obiettivo verso cui dovrebbe mirare l'istruzione dovrebbe essere proprio questo,ma proprio nel momento in cui le mie dita stanno scrivendo, la ragione mi riporta sulla terra e mi dice che è pura utopia: ad ognuno il Suo Maestro.
Che il Professore parli del PLE come una sorta di Maestro che ti crei?
Potrebbe essere una possibilità.
Potenzialmente la cosa mi colpisce, ma sono troppo (o troppo poco?) scolarizzata per condividerla e crederci in pieno.
Per quanto riguarda la Rete, e la vita che in essa fluisce, mi rendo conto che è un mezzo di apprendimento esaltante ma allo stesso tempo dispersivo.
Per quanto le connessioni stabilite tra noi nodi della Rete, non possono che essere considerate esperienze positive e formative, per capire l'importanza di tutto questo ci deve essere, a mio avviso, qualcosa di concreto, che respira che riesce a farti apprezzare la vita pulsante e farti andare oltre la freddezza dello schermo.
Io, da retrograda, vedo il Maestro, il mio Mastro in qualcuno che mi insegna a guardare negli occhi,nel cui sguardo riesco a vedere gli anni e i pensieri che lo hanno accompagnato, che con la sua esperienza mi mette davanti la vita in modo che io possa capire, con lui, ma da sola, l'importanza dei rapporti umani, della modulazione della voce e che mi insegna con semplicità a vivere là fuori, cosa che lui lo sa fare ed io ancora no.
Là, dietro lo schermo , tra le righe di un libro e nei silenzi di una scena cinematografica ci possono stare dei mezzi, degli aiuti a capire.
I più fortunati già da soli capiscono l'importanza di tutto questo. Io, forse,ho avuto più fortuna ad avere un maestro che mi ha dato il necessario per capire il mio percorso e le chiavi per percorrerlo: sta a me rintracciarle dentro. "I semi della novità germogliano quando il terreno che li accoglie è pronto": ci vorrà tempo.
Comunque, qualunque siano i mezzi sono convinta che ci sia bisogno di qualcuno di reale che te li dia, in modo da farti diventare a tua volta un Maestro per qualcun altro. Nietzsche diceva "non c'è niente da fare: ogni Maestro ha un solo allievo, e questo gli diventa infedele perché è destinato anche lui a diventare Maestro".
Per adesso non conosco la possibilità di Maestri non veri, ma non la escludo.
Secondo me è solo più formativo averne uno reale.
Il fine ultimo è comunque l'imparare a camminare nel proprio bosco non dimenticandosi che la ricerca interiore è la più costruttiva.
Aggiungo che io nella Rete mi perdo: i Maestri, i Social Network, come Delicius, sono utilissimi, ma se non avessi avuto la scuola, con i mezzi, e il Maestro, con le soluzioni, mi perderei anch'io, come ancora faccio.
L'istruzione genera il dubbio e il dubbio la conoscenza.
Io vivo in una realtà piuttosto piccola, ma il senso di appartenenza alla comunità sta scomparendo. In questo vortice ho ancora la fortuna di parlare con anziani e anche di osservarli: i loro nodi sono più vicini dei nostri.
Uno di questi anziani mi disse che "l'uomo è l'unico animale che distrugge il proprio ambiente naturale". In un primo momento questa affermazione mi sembrò giusta ma il mio pensiero andò esclusivamente all'ambiente fisico che distruggiamo. Adesso posso dire che l'ambiente naturale dell'uomo sono le Reti, dalla realtà di strada alla blogoclasse, e in qualche modo dobbiamo interrompere il processo di distruzione e continuare a coltivare le connessioni reali e quelle virtuali. L'ideale è l'equilibrio, come sempre.
Concludo dicendo che per imparare ad usare Internet serve qualcosa: se non avessi frequentato la scuola non mi sarei posta certe questioni da approfondire nella Rete e non sarei in grado di trovarne di nuove e stimolanti.
Allo stesso tempo invia una moltitudine di stimoli che sono difficili da gestire e indirizzare verso un'unica tesi.
Procederò seguendo le questioni che mi hanno maggiormente colpita.
Innanzi tutto non riesco ad essere così pessimista riguardo alla nostra società. Del buono c'è, il difficile è saperlo vedere.
Riconosco che questa "abbia l'incapacità di cogliere il valore del nuovo" ma non mi sento di dover attribuire tutta la colpa alla scolarizzazione: il nuovo ha sempre creato disagio e non accettazione anche in società "primitive", intendendo come tali le società non "sopraffatte" dalla scolarizzazione.
Lo smarrimento e il timore che accompagna questo tipo di passaggio è insito nell'uomo e la Scuola, benché arma potentissima, non è in grado di combatterlo: magari potesse farlo.
Con questi presupposti riconosco però che la rigidità sia assolutamente negativa.
Il sistema di Istruzione/formazione è una cosa viva in quanto ha le caratteristiche che il Professore considera peculiari per la vita, e che io condivido: "ha capacità autogenerative ed è in grado di impiegare i propri componenti per trasformare o costruire nuovi componenti".
La Scuola essendo fatta di persone, le stesse che stanno dietro ad un nick, per definizione è un qualcosa, un'istituzione è riduttivo, di basilare e di potenzialmente potente.
Il problema però solo gli stessi individui che da una parte le danno vita e dall'altra uccidono parte del senso di tutto questo terreno che non è sterile, ma potrebbe essere molto più fecondo.
Sinceramente non riesco a concepire l'idea di apprendimento trasversale. Nei prossimi giorni leggerò "Lettera a una professoressa" ma per adesso rimango scettica. Non conoscendo a fondo il tipo di insegnamento non posso dare una mia vera visione a riguardo, ma almeno posso dire quello che ad oggi, con il mio schema di pensiero e con quel "qualcos'altro" che per fortuna non rientra nello schema, non riesco ad immaginare questo tipo di apprendimento.
Mi spiego.
La Scuola, secondo me, deve essere gerarchica, almeno in un primo momento.
Il compito del giovane è appunto quello di imparare dall'adulto che ha capito più di lui, per una serie di motivi.
Qualsiasi tipo di conoscenza, dalla più pratica e quotidiana alla più raffinata, deve essere inviata in modo da poter essere ricevuta.
Il problema sta nei mezzi di questo passaggio di informazione.
Ovviamente l'apprendimento dipende dall'intenzione e dall'attenzione di chi dà e di chi riceve, ma è colui che dà che ha la possibilità di modellare il ricevente affinché apprenda.
La curiosità del ragazzo nella norma deve essere stimolata dall'esterno in modo che lo stimolo si trasformi in mezzo di nuovo apprendimento. Il ragazzo eccezionale ha la sensibilità e la capacità di trovare in sé il senso e la ragione della ricerca interna ed esterna.
Purtroppo credo di poter dirmi nella schiera di quelli cosiddetti "normali", la cui curiosità viene sollecitata da qualcuno che sta sopra che è in grado di far sentire che lui "ha capito" se non tutto, che è impossibile, almeno qualcosa di complesso da raggiungere, e che è in grado in aiutarti a farlo a tua volta.
Senza volerlo sono giunta a parlare del Maestro, dell'anziano che ti prende per mano senza che tu te ne renda conto e che al momento giusto ti lascia percorrere la strada che da oscura e priva di significato è diventata, per la tua percezione, una danza di vita.
Questo è ciò che si spera di trovare all'interno della classe, noi nostalgici. E'raro, ma anche lì si può trovare il Maestro. L'obiettivo verso cui dovrebbe mirare l'istruzione dovrebbe essere proprio questo,ma proprio nel momento in cui le mie dita stanno scrivendo, la ragione mi riporta sulla terra e mi dice che è pura utopia: ad ognuno il Suo Maestro.
Che il Professore parli del PLE come una sorta di Maestro che ti crei?
Potrebbe essere una possibilità.
Potenzialmente la cosa mi colpisce, ma sono troppo (o troppo poco?) scolarizzata per condividerla e crederci in pieno.
Per quanto riguarda la Rete, e la vita che in essa fluisce, mi rendo conto che è un mezzo di apprendimento esaltante ma allo stesso tempo dispersivo.
Per quanto le connessioni stabilite tra noi nodi della Rete, non possono che essere considerate esperienze positive e formative, per capire l'importanza di tutto questo ci deve essere, a mio avviso, qualcosa di concreto, che respira che riesce a farti apprezzare la vita pulsante e farti andare oltre la freddezza dello schermo.
Io, da retrograda, vedo il Maestro, il mio Mastro in qualcuno che mi insegna a guardare negli occhi,nel cui sguardo riesco a vedere gli anni e i pensieri che lo hanno accompagnato, che con la sua esperienza mi mette davanti la vita in modo che io possa capire, con lui, ma da sola, l'importanza dei rapporti umani, della modulazione della voce e che mi insegna con semplicità a vivere là fuori, cosa che lui lo sa fare ed io ancora no.
Là, dietro lo schermo , tra le righe di un libro e nei silenzi di una scena cinematografica ci possono stare dei mezzi, degli aiuti a capire.
I più fortunati già da soli capiscono l'importanza di tutto questo. Io, forse,ho avuto più fortuna ad avere un maestro che mi ha dato il necessario per capire il mio percorso e le chiavi per percorrerlo: sta a me rintracciarle dentro. "I semi della novità germogliano quando il terreno che li accoglie è pronto": ci vorrà tempo.
Comunque, qualunque siano i mezzi sono convinta che ci sia bisogno di qualcuno di reale che te li dia, in modo da farti diventare a tua volta un Maestro per qualcun altro. Nietzsche diceva "non c'è niente da fare: ogni Maestro ha un solo allievo, e questo gli diventa infedele perché è destinato anche lui a diventare Maestro".
Per adesso non conosco la possibilità di Maestri non veri, ma non la escludo.
Secondo me è solo più formativo averne uno reale.
Il fine ultimo è comunque l'imparare a camminare nel proprio bosco non dimenticandosi che la ricerca interiore è la più costruttiva.
Aggiungo che io nella Rete mi perdo: i Maestri, i Social Network, come Delicius, sono utilissimi, ma se non avessi avuto la scuola, con i mezzi, e il Maestro, con le soluzioni, mi perderei anch'io, come ancora faccio.
L'istruzione genera il dubbio e il dubbio la conoscenza.
Io vivo in una realtà piuttosto piccola, ma il senso di appartenenza alla comunità sta scomparendo. In questo vortice ho ancora la fortuna di parlare con anziani e anche di osservarli: i loro nodi sono più vicini dei nostri.
Uno di questi anziani mi disse che "l'uomo è l'unico animale che distrugge il proprio ambiente naturale". In un primo momento questa affermazione mi sembrò giusta ma il mio pensiero andò esclusivamente all'ambiente fisico che distruggiamo. Adesso posso dire che l'ambiente naturale dell'uomo sono le Reti, dalla realtà di strada alla blogoclasse, e in qualche modo dobbiamo interrompere il processo di distruzione e continuare a coltivare le connessioni reali e quelle virtuali. L'ideale è l'equilibrio, come sempre.
Concludo dicendo che per imparare ad usare Internet serve qualcosa: se non avessi frequentato la scuola non mi sarei posta certe questioni da approfondire nella Rete e non sarei in grado di trovarne di nuove e stimolanti.
venerdì 10 aprile 2009
Doni?
Salve,
da un po'di tempo ho deciso di scrivere un post sulla donazione del sangue e, pur sapendo che non dirò niente di nuovo e di illuminante, voglio provare a dire la mia opinione a riguardo.
Credo che questa pratica,largamente pubblicizzata, non sia entrata con "prepotenza" nella vita della maggior parte della popolazione che gode di buona salute.
Per quanto mi riguarda, conosco davvero poche persone che donano, molte che non considerano minimamente la possibilità e che non ne valutano l'importanza.
Mi auguro che nell'ambiente della blogoclasse la situazione sia un po'diversa, anzi ne sono certa, ma comunque ho inserito un sondaggio sul vostro rapporto con la donazione.
Il motivo per cui l'ho fatto è perchè quando siamo di fronte a una domanda, riflettiamo.
E'normale che la riflessione conduca alla valutazione del proprio comportamento e magari questo può far scattare qualcosa.
Voglio sottolineare che non l'ho inserito per far sentire in colpa chi non dona, nè per sentirmi migliore di chi non lo fa.
Forse penserete che gli articoli scritti su argomentiti di questo tipo abbiano come fine quello di sentirsi la coscienza a posto: io non la penso così.
Non vale la consequenzialità "se io dono allora sono più buona e brava di te".
Infatti, secondo me, il semplice gesto della donazione è un atto civile, di buon senso, non è eroico: per fare un esempio pratico è come chiamare il 118 se ci si trova davanti a un incidente.
Nella mia testa il meccanismo è pressappoco lo stesso.
"Sono sana e sto bene, che me ne faccio di tutto questo sangue se il mio midollo può benissimo riprodurlo velocemente, mentre quello di altri non può?".
Allora dono, così come chiamo il 118 : in entrambi i casi non mi costa niente.
Secondo me dovrebbere essere obbligatorio donare,qualora si abbiano i requisiti previsti.
Il sangue donato è fondamentale per i cosidetti "politrasfusi" ovvero pazienti affetti da leucemia, talassemia, emofilia, epatopatie e anemie varie, ma anche per i trapianti diretti.
Noi, attualmente dipendiamo dall'estero e dato che
il sangue è un bene rinnovabile mi sembra quasi paradossale non essere autosufficienti.
Naturalmente mi auguro che qualcuno decida di donare dopo aver risposto a una banalissima domanda.
Ci tengo a precisare che la motivazione che mi ha spinto a scrivere un post sull'argomento è stata la notizia di un po'di tempo fa sul sangue artificiale, che tutti avrete sentito.
Se non l'avete fatto,cliccate qui.
Comunque, in breve "un centro di ricerca inglese ha promesso che nel corso di 3 anni verrà messo a punto il sangue artificiale".
La notizia di per sè è formidabile.
Basta un attimo, però, per rendersi conto che dietro una così brillante scoperta ci sono una serie di problematiche logistiche ma soprattutto economiche.
Chissà quanto costerà questo sangue bionico?
E chissà dopo quanto tempo sarà una risorsa utilizzabile nei nostri ospedali?
Magari quando noi saremo già in pensione.
Quindi, perchè aspettare con le mani in mano questi 3 o più anni?
Basta trovare un po'di tempo: il Cubo è davanti alla Piastra dei Servizi, ma comunque in ogni ospedale c'è il Centro Trasfusionale.
Io ho aspettato molto prima di donare: non sono agofobica-esisterà??-, nè particolarmente affezionata al mio sangue-un po'lo siamo tutti!-,ma tra una cosa e l'altra, pur avendo sempre avuto il desiderio di donare, mi sono decisa a farlo solo pochi mesi fa, dopo aver rimandato un sacco di volte.
Spero che la mia voce, venga almeno sentita, se non ascoltata: "Siate voi il cambiamento che volete nel mondo" Gandhi.
Vi invito a lasciare le vostre opinioni e esperienze.
Sicuramente qualcuno di voi farà parte di un'associazione di donatori, può gentilmente spiegarmi le differenze che ci sono con chi non è iscritto, ma comunque dona?
Grazie.
P.S: Non mi tornano due cose sui requisiti per i donatori:
- Peso maggiore di 50 Kg. Se uno è 50 Kg ma è molto basso perchè non dovrebbe donare? Andrebbe considerato il rapporto peso/altezza;
- Bisogna essere maggiorenni per donare, ma perchè si può guidare il motorino a 14 anni? Assurdo. Magari dipenderà dalla sviluppo, ma penso che in linea di massima a 16 anni si sia già sviluppati e maturi(in teoria) per decidere cosa fare del proprio sangue.
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