giovedì 17 dicembre 2009

Quasi Inverno

La polvere che mi ha invaso il blog; questo mi disturba.

Non supera né quella della scrivania, né quella sui libri di Biochimica, né quella della casella di posta, né quella che mi si sta accumulando addosso.

Ma a quella
d
el blog in qualche maniera voglio rimediare.
Rimane il mio blog, anche se il pennuto sullo sfondo è antiestetico e non mi è mai piaciuto.

In realtà più che polvere la chiamerei ghiaccio, è più uniforme, compatto, scivoloso e infido della polvere.
Il ghiaccio è trasparente, ti si attacca addosso senza che lo si veda, è solo un po' più fresco.
Il ghiaccio ti fa cadere per strada.

Tutta la diversità si fa uniforme sotto un sottile strato di ghiaccio.

Quest'inverno sta portando una bella dose di ghiaccio per tutti.
Con me è stato molto generoso.
Grazie Inverno.
E devi ancora arrivare.

domenica 1 novembre 2009

Un fiore, con affetto

"Ma il giorno che ci apersero i cancelli, che potemmo toccarle con le mani quelle rose stupende, che potemmo finalmente inebriarci del loro destino di fiori.

Divine, lussureggianti rose!

Non avrei potuto scrivere in quel momento nulla che riguardasse i fiori perchè io stessa ero diventata un fiore, io stessa avevo un gambo e una linfa."

A. M.

martedì 29 settembre 2009

lunedì 21 settembre 2009

Sonno


E'da qualche giorno che voglio scrivere un post sull'insonnia, io che d'insonnia vera non ho mai sofferto, ma che, ecco, ho difficoltà ad addormentarsi quando si avvicinano certi eventi che temo o su cui nutro molte aspettative.

Il fatto di voler scrivere un post, pensavo, mi potesse aiutare a razionalizzare sul fatto che il mio non è poi un grande problema.
Mi interessava capire cosa davvero fosse questa fantomatica insonnia.
Sinceramente non è che adesso ne sappia tanto di più, ho letto qua e là qualcosa e questa mi sembra la più interessante, ma dato che non sono per niente fresca, per il suddetto problema, i miei neuroni lavorano a una velocità ridicola e non è che assimilino tanto in questi giorni!!

Mi sono appuntata qualche titolo da leggere, lo farò in tempi migliori.

Quello che mi andava di scrivere non sono i rimedi presi qua e là e tramandati di padre in figlio che sono tanto pittoreschi, ma a me, in tutta sincerità, non hanno mai fatto niente, ma consigliarne uno.
Leggete la Littizzetto!!
Questo è il mio antidoto anti-insonnia: è stata efficace durante la maturità, ma purtroppo funziona solo quando leggo qualcosa di nuovo.
Se si degnasse di pubblicare altro forse i miei sonni tornerebbero tranquilli...

giovedì 20 agosto 2009

Compromesso?

Valutando gli sforzi, che sviscerano il pensiero, alla ricerca di un punto di contatto, di un nuovo e giusto compromesso, di maletti punti in comune, che vacillano, sento che per certi sensi ne vale la pena, la fatica viene subito ricompensata: tutto questo ha un nome, chiamatelo con il Suo nome.
Le certezze mi uccideranno.

"Come mi sento lontano da loro, dall'alto di questa collina. Mi sembra d'appartenere ad un'altra specie. Escono dagli uffici, dopo la loro giornata di lavoro, guardano le case e le piazze con un'aria soddisfatta, pensano che è la loro città, una "bella città borghese". Non hanno paura, si sentono a casa loro. Non hanno mai visto altro che l'acqua addomesticata che esce dai rubinetti, che la luce che sprizza dalle lampade quando si preme l'interruttore, che gli alberi meticci, bastardi, che vengono sorretti con i pali. Hanno la prova, cento volte al giorno, che tutto si fa meccanicamente, che il mondo ubbidisce a leggi fisse e immutabili. I corpi abbandonati nel vuoto cadono tutti con la stessa velocità , il giardino pubblico viene chiuso tutti i giorni alle sedici d'inverno, e alle diciotto d'estate, il piombo fonde a 335 gradi, l'ultimo tram parte dal Municipio alle ventitré e cinque. Son pacifici, un po' melanconici, pensano a Domani, cioè semplicemente, ad un altro oggi; le città non dispongono che di una sola giornata che ritorna sempre uguale ogni mattina. La si impennacchia un po'la domenica. Che imbecilli. Mi ripugna il pensare che sto per rivedere le loro facce ottuse e piene di sicurezza. Legiferano, scrivono romanzi populisti, si sposano, hanno l'estrema stupidità di fare figli.
E frattanto la grande natura incolta s'è insinuata nella loro città, s'è insinuata dappertutto, nelle loro case, nei loro uffici, in loro stessi. Non si muove, si mantiene ferma in essi, essi vi stan dentro in pieno, la respirano e non la vedono, credono che sia fuori, a venti miglia dalla città.
Io la vedo questa natura, la vedo...So che la sua sottomissione è pigrizia, so ch'essa non ha leggi: quella che scambiano per la sua costanza...Non ha che abitudini, e le può cambiare domani.
E se capitasse qualcosa? Se d'un tratto di mettesse a palpitare? Allora s'accorgerebbero della sua presenza e gli sembrerebbe di sentirsi scoppiare il cuore. A che cosa gli servirebbero, allora, le loro dighe, i loro argini, le loro centrali elettriche, i loro alti forni, i loro magli a vapore? Ciò potrebbe succedere in qualsiasi momento, magari subito, i presagi ci sono. Per esempio, un padre di famiglia passeggio vedrà venire verso di lui, attraverso la strada, uno straccio rosso come spinto dal vento. E quando lo straccio gli sarà vicinissimo vedrà che è un pezzo di carne marcia , imbrattato di polvere, che si trascina strisciando, a sbalzi, un pezzo di carne torturata che si rotola nei rigagnoli proiettando a spasmi getti di sangue. Oppure una madre guarderà la faccia del suo bambino e gli domanderà :"Che cos'hai, lì, una pustola?"e vedrà la carne gonfiarsi un poco, screpolarsi, schiudersi e in fondo alla scepolatura apparirà un terzo occhio, un occhio beffardo. Oppure si sentiranno dolci sfioramenti per tutto il corpo, come le carezze che i giunchi dei fiumi fanno ai nuotatori. E si accorgeranno che le loro vesti sono divenute cose viventi. E un altro si accorgerà che qualcosa lo solletica dentro la borsa. S'accosterà ad uno specchio, aprirà la bocca: e la lingua gli sarà diventata un enorme millepiedi vivi, che agiterà le zampe raschiandogli il palato. Vorrà sputarlo, ma il mille piedi sarà una parte di lui stesso,e dovrà strapparselo con le mani. E apparirà una quantità di cose per le quali bisognerà trovare nomi nuovi, l'occhio di pietra, il gran braccio tricono, l'allucegruccia, il ragno-mascella. E colui che si sarà addormentato nel suo buon letto, nella sua dolce camera calda si risveglierà tutto nudo sopra un suolo bluastro, in una foresta di verghe rumoreggianti, rosse e bianche, erette verso il cielo come le ciminiere di Jouxtebouville, con grossi coglioni a metà fuori di terra villosi, turgidi come cipolle. E intorno a quelle verghe svolazzeranno uccelli che le becchetteranno facendole sanguinare, e da queste ferite colerà lo sperma, pian piano, lentamente, sperma mescolato a sangue, vitreo e tiepido, con piccole bolle.
O anche, niente di tutto questo succederà. non vi sarà alcun cambiamento apprezabile,ma, la gente, una mattina, aprendo le persiane , sarà sorpresa da una specie di denso orribile, pesantemete posato sulle cose, e che sembrerà aver l'aria di attendere. Null'altro che questo: ma per poco che questo duri ci saranno suicidi a centinaia.
Ebbene, sì! Che tutto questo cambi un poco, non domando meglio. Se ne vedranno altri, allora, piombati bruscamente nella solitudine. Uomini completamente soli, solissimi, con orribili mostruosità, correranno per le strade, passeranno pesantemente davanti a me, con gli occhi fissi, fuggendo i loro mali e portandoli con , con la bocca aperta e la loro lingua-insetto che sbatterà le ali.
Allora io creperò dalle risa, anche se il mio corpo sarà coperto da luride croste sospette che sbocceranno in fiori di carne, in viole, in ranuncoli. M'addosserò ad un muro, e griderò al loro passaggio: "Che ne avete fatto della vostra scienza? Che ne avete fatto del vostro umanitarismo? Dov'è andata a finire la vostra dignità di canna pensante?". Io non avrò paura -o almeno, non più che in questo momento. Forse che ciò non sarà pur sempre esistenza?Tutti quelli occhi che mangeranno lentamente un volto saranno di troppo, senza dubbio, non più dei due primi. E'dell'esistenza che io ho paura."
Jean- Paul Sartre

giovedì 13 agosto 2009

Per possibilità


In una sera d'estate, con la mente forse non più libera, ma più distesa del solito, mi sono trovata nella penultima fila di un improvvisato cinema all'aperto, in realtà un parcheggio, in compagnia di anziane coppiette che avranno di certo aspettato la frescura per avanzare lente oltre le loro porte, considerando dai tratti rilassati e da quei sorrisi serafici stampati in faccia.
Mi sono trovata lì un po'per caso, un po'per nostalgia del Cinema d'Essai che c'è qui in inverno (sono gli stessi che lo organizzano), un po'perché sono tornata da 2 giorni dalle vacanze e ho trovato un paese completamente deserto e tutto, l'ambiente, le persone, il cielo stellato che si intravede tra i tetti, il film, sono stati tra il piacevole e lo spiacevole:avevano un sapore dolciastro inusuale.

E'stato facile captare in meno di 30 nanosecondi che ero la più giovane tra i seduti, e anche se è normale, non so perché continuo a stupirmene.
Ma il punto è il film, Tulpan, la ragazza che non c'era di Sergei Dvortsevoy.
La storia di per sé non ha niente di emozionante, ma era strano, in quel contesto, percepire il messaggio che mandava, era dissonante, banale in superficie ma spaventoso un po'più a fondo.
Parla di un giovane kazako che, dopo il servizio in marina, fa ritorno nell'arida steppa e che, per iniziare una vita sua autonoma, necessita di un gregge, ma prima di tutto di una moglie.
L'unica possibile non gli si concede.

Su questi spazi aperti e magnifici gravita una gabbia tanto pesante e spessa da non lasciar passare l'aria. La rete degli eventi, la stessa Natura e la vita nomade tengono imprigionati la gioventu'come la vecchiaia in un cerchio eterno senza via di scampo.

La possibilità di cambiamento, di un' evoluzione si spenge senza essersi forse mai accesa, come se aleggiasse un senso di morte e fissità su una terribile bellezza.

Il messaggio del film, almeno quello che io ho ricevuto, è precisamente il contrario di quello che cerco di vedere nel domani.
E'la possibilità di cambiamento che rende liberi di agire, ma la cosa atroce è che entro certe gabbie non si percepisce che c'è un controllo, non si sente, non siamo oggettivi se coinvolti.

Ma quanto saremo in gabbia?
Né un film, né un pubblico, né un cielo me lo sapranno mai dire.

lunedì 13 luglio 2009

Con il senno di poi. Valutazione del corso

Ho aspettato un immenso spazio di tempo prima di decidermi a scrivere questo post, che non sarà necessariamente l'ultimo, anzi non lo sarà di certo, ma che comunque deve essere una sorta di resa dei conti, di pensiero maturo sul senso del corso.

Forse il vero motivo del mio estenuante rimandare è stata Istologia che mi aveva assorbito, rapito e annientato ogni forma di pensiero autonomo e scollegato da Lei (errore madornale per altro. Imparerò a scindere, mi auguro), ma non credo che sia stato l'unico.
Anche se nell'ultimo periodo non mi sono dilettata nella scrittura dei miei "interessantissimi"posts, ho osservato dall'alto, senza farmi vedere, quello che è rimasto della blogoclasse durante la sessione d'esame.
Immaginavo un canto del cigno, invece è stato, ed è, tutto molto diverso.
La frequenza degli aggiornamenti si è ridotta, ma si percepisce che ancora c'è vita e che ci rimarrà per un po'.

Comunque bisogna valutare il corso.
Partirò dalla mia prospettiva.

In principio ero terrorizzata dall'idea di tenere un blog, non perché mi sentissi superiore o completamente impacciata nel Web 2.0, ma perché mi intimoriva mettermi in mostra.
Non mi andava che si leggesse quello che scrivevo perché non consideravo questo tipo di confronto, che mi sembrava indiretto, come produttivo e stimolante; mi faceva paura e basta.
Comunque avevo desiderio di fare questa nuova esperienza, ero attratta dall'idea.
Così ho iniziato a scrivere qualcosa e poi, facendomi violenza, ho iniziato a commentare i blog degli altri.
Alla fine, però, ci ho preso gusto.

Non ho mai scritto con costanza, ma solo quando c'era qualcosa che mi andava di condividere.
Io ho risposto così. Non credo che sia questione di giusto o sbagliato è semplicemente accaduto così.
La risposta agli stimoli mandati dal Prof è stata, per fortuna, abbastanza eterogenea.

Infatti l'aspetto che più ho apprezzato in questa esperienza sono state le discussioni nate dalle reazioni dissonanti e critiche a quello che ci veniva proposto. In questo modo ho avuto più spunti per una riflessione.
Ho avuto modo, infatti, di porre l'attenzione su cose che immaginavo non mi avrebbero coinvolto, come invece hanno fatto.

Il Prof ha parlato più volte di esperienza durante le riflessioni sull'educazione: più che con tante parole ha mandato questo tipo di messaggio con il farci creare la blogoclasse.
E'stato un corso, e continuerà ad essere, un corso di libero pensiero e libera espressione.

Però per me non è stato tutto così facile e diretto.
Ho accettato dopo diverso tempo questo modo di fare un corso, non tanto nella modalità didattica, se così si può dire, ma nel modo in cui erano poste le questioni.
Troppo provocatorio.
Ora però capisco perché sia stato necessario che fosse così.
Che si voglia ammettere o no, il Prof aveva ragione a dire che passiamo sotto il suo sguardo per poco tempo e che è fondamentale essere pungenti per far reagire.

Per me è stato molto di più di un Corso d'Informatica.

domenica 12 luglio 2009

Corro


"Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più del leone o verrà uccisa.
Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, un leone si sveglia e sa che dovrà correre più della gazzella o morirà di fame.
Ogni mattina in Africa, come sorge il sole, non importa che tu sia leone o gazzella, l'importante è che cominci a correre."

martedì 9 giugno 2009

Sull'immortalità della Rete


Ho acceso il computer senza avere la minima intenzione di scrivere un post, ma come potrete notare ho cambiato rotta.
Considerando che i miei neuroni sono in stand-by e che questo sarebbe un momento di riposo dall'embriologia, non garantisco niente.
Prendete un po'quello che mi viene, sempre che vi vada di leggere queste due pensieri buttati là e scritti anche male.
Gli argomenti di cui vorrei parlare sarebbero due, ma forse è meglio "riflettere"solo sul primo.

Domenica il mio caro bel computerino è morto, o meglio, la sua anima è uscita dal corpo.
L'hard disk se ne è andato verso più bei luoghi, mentre le membra sono rimaste in camera mia.
Ed ecco fatto: in un batter d'occhio tutte le mie cose scritte, fotografate, scaricate in questi due anni si sono volatizzate.
Perché? Perché qualcosa non ha funzionato.
So bene che sono stronzate, quando non funziona qualcosa nella nostra macchina, che saremo noi stessi, è palesemente molto peggio, ma insomma voglio parlare del mostro, della tecnologia, che, come tutto il resto, quando vuole ti porta via materialmente cose a cui, in un certo senso, tieni molto.
Non voglio prendermela con l'oggetto intelligente che si è stufato di fare il suo dovere, l'imbecille sono solo io che non ho salvato tutto su un hard disk esterno o su una pagina wiki, lasciando da parte che è successa la stessa cosa a mia sorella un mese fa.

Comunque , e qui l'elogio allo Web 2.0, lui regge, resiste, dura e non si rompe.
Ma è immortale?
Dato che è stato creato da noi e che di imperituro non può esistere niente, la risposta è certamente no.
La rete è una cosa viva, ci disse il Prof in "Coltivare le connessioni", e non posso che dire che se è viva può morire.
Non sono un'esperta in informatica, sono alle prime armi e per me aver creato un blog è già tanto, e quindi in fondo, alle fondamenta non so come funzioni questa cosa strabiliante che ti permettere il contatto con l'esterno ovunque (o quasi) tu sia.

Ovviamente non si può neanche prevedere, anche se è molto remoto e impensabile, che salti tutto.
Ma può succedere, almeno credo.
Per come è fatto, almeno in apparenza, Internet sembra invincibile sopra le parti per le opportunità che offre e per la grandezza smisurata di informazioni, di visioni e di contatti che sono nati là dentro.
E'umano non concepire l'idea della fine, del black out, in ogni campo, ma se poi la fine coincide con la perdita di un qualcosa che non è mai stato "concreto",nel senso di toccabile, è ancora più strano.

E qui giungo a dire che non sarebbe un problema.
I templi, le statue, i palazzi o le varie forme d'arte sono state fatte dall'uomo per essere guardate toccate e sentite nell'accezione concreta del termine.
Internet, se viene utilizzato in un certo senso, è un insieme di strumenti che portano alla riflessione, alla cura e allo sviluppo interno: nutrono solo l'anima, come fanno anche le forme d'arte, ma in maniera diversa.

Il resto che sta fuori, quello creato dall'uomo , deve rimanere, deve essere conservato quanto più a lungo e non può evolvere: si mostra sempre nello stesso modo (pensate a un dipinto) e deve arrivare ai più nel tempo perché avrà certamente qualcosa da dire di diverso a loro, a seconda del periodo storico, della sensibilità personale e di molte altre cose. L'osservazione , la conoscenza e l'esperienza faranno nascere da lì altre idee, che si spera non cancellino quello che c'è stato, ma partano da lì per migliorarsi e per andare avanti. La Rete, invece, è costruita in modo da rinnovarsi e superarsi di attimo in attimo, quasi fosse davvero naturale e non statica, come molte delle cose che noi costruiamo.

E se si rompe,pace: verrà ricostruita meglio, con idee nuove.

sabato 6 giugno 2009

Torta di pesche e cioccolato


Finalmente una torta vera!
Mi sono decisa a fare una Torta, senza la solita attenzione a cercare la meno calorica possibile!
Anche se dove potevo, ho ridotto le dosi.
Sinceramente l'aspetto non è dei migliori, lascia alquanto a desiderare, ma è buonissima!

Quindi se siete depressi da istologia/embriologia, magari concedetevi un dolce momento di pausa, e improvvisatevi pasticceri.
A me a volte serve.

Comunque lascio la ricetta.

Tempo di esecuzione: 1 ora

Ingredienti:
  • 600 g di pesche (io ho usato quelle noci, ma è uguale!);
  • 200 g di cioccolato fondente;
  • 60 g di burro (io ne ho messo 60, anche se nella ricetta c'era scritto 100 g. E' un po'più leggera, ma non penso si senta la differenza);
  • 3 uova (ce ne volevano 4: vedi sopra il motivo della mia riduzione!);
  • 100 g di zucchero bianco;
  • 50 g di farina.
Procedimento:
  1. Far scottare le pesche in acqua in ebollizione, per qualche secondo, scolarle e farle raffreddare in acqua fredda. Scolarle di nuovo, privarle della buccia, eliminare il nocciolo e tagliarle a fette abbastanza spesse.
  2. Spezzettare il cioccolato, unire il burro e farli fondere in un tegamino a bagnomaria.
  3. Dividere i tuorli d'uovo dagli albumi. Mettere in una terrina i tuorli, aggiungere lo zucchero e lavorarli fino ad ottenere un composto chiaro e spugnoso; unire la farina setacciata e incorporarla delicatamente.
  4. Montare gli albumi a neve.
  5. Aggiungere al composto il cioccolato e il burro fusi, gli albumi montati a neve e incorporare il tutto con un mestolo di legno; unirvi infine le fette di pesca.
  6. Versare il composto in una tortiera imburrata e infarinata, porla nel forno preriscaldato a 180° e far cuocere il dolce per 35-40 minuti.
  7. Togliere la tortiera dal forno e servire il dolce, caldo, nello stesso recipiente di cottura.
Buon dolce!

giovedì 4 giugno 2009

7°Assignment: Papavero, sonno ed oblio


Sono approdata anch'io su Medal.org.
Come sempre la prima sensazione che provo a vedere cose strane che non capisco è un iniziale rifiuto, seguito dalla più forte curiosità che poi mi riporta, in questo caso, al sito che avevo tempestivamente chiuso, perché non c'avevo capito nulla.
Poi pian pianino inizio a muovere i primi passi e poi, via, corro.
La mia corsa mi ha condotto a trovare molti algoritmi interessanti, che reputo, saranno utili al primo impatto con il paziente.
Servono a costruirsi una sorta di schema, preciso, esatto su cui poi l'incertezza verrà inserita a sua volta.
Anche questo sistema è una sorta di equilibrio: capire il limite della certezza senza affidarsi totalmente né a lei, né all'incertezza.
Il discorso torna, è riconducibile a quello del caos, dell'ordine, della follia e della ragione.

Ho percepito abbastanza subito l'utilità di Medal.org, ma non avendo gli strumenti necessari per fare una ricerca in campo medico,abbastanza decente, ho cercato una cosa totalmente inutile: ricondurre attraverso l'esame delle urine se un paziente ha abusato di semi di papavero e quindi si è intossicato.
La ricerca è un po'sulla solita linea d'onda di quella che feci su PubMed riguardo alla cadaverina e la putrescina: a prima vista sembra inutile, ma poi non è così, almeno per me!
Avremo le orecchie piene di malattie comuni o meno comuni (non vedo l'ora!), ma appunto il bello sta nei casi meno comuni: l'incertezza dà il brivido.
Per adesso non siamo in grado di costruirci un solido bagaglio di esperienza, almeno all'interno dell'università, e quindi le cose diverse bisogna un po'inventarsele!

Inserisco un breve passo tratto dal libro"I paradisi della droga", dal capitolo "che cosa sono gli stupefacenti"di Nedd Willard in cui spiega a livello elementare come vengono prodotti i vari tipi di droga, in questo caso gli oppiacei.
Il suddetto libro non pensa venga ancora pubblicato.

"...Quando si scalfisce la capsula del fiore di papavero o le si pratica una incisione, ne esce una resina pastosa:l'oppio.
Sotto questa forma bruta lo si può mangiare, o bere, oppure fumare. I procedimenti di estrazione permettono di ricavarne la morfina e un altro prodotto potentissimo, l'eroina. Qualunque sia la loro forma, gli effetti generali di queste sostanze restano all'incirca gli stessi. L'oppio e gli oppiacei calmano e sopprimono il dolore, e alleviano l'ansietà. Il meccanismo dei loro effetti è male conosciuto. Sembra che essi esercitino un effetto sedativo su certe regioni del sistema nervoso centrale e che tendano così a ridurre la fame la sete la paura e il dolore. Non sembra che essi diminuiscano la capacità di ogni individuo a lavorare , o a reagire nelle diverse nelle diverse situazioni sperimentali."

Detto questo, tanto per riportare alla mente l'argomento, dichiaro di aver scelto questo tema perché magari potrà capitare il caso di un bimbo che ha ingerito semi di papavero e che ha certi sintomi spiegati nell'algoritmo.
Tanto per ricordare: io da piccola non so quante gemme di papavero avrò aperto per vedere se il fiore sarebbe nato rosso o no! (In realtà penso che quelli più chiari erano semplicemente più giovani. Che crudele ero.)
Me ne sarò mangiati qualcuno, anche se ho rimosso!
Comunque quello di cui parlo è io è Papaver Somniferum, che non cresce nei nostri prati, anche se le sostanze contenute sono le stesse, ma presenti in minor quantità.
Comunque il papavero, il magico fiore , ha il potere di attrarre con la sua quasi trasparente evanescenza.

Se vi interessa andate su Medal.org e, dopo essere entrati, scrivete poppy.
La pagina che ho considerato è la prima (sono solo due gli articoli che vengono dalla ricerca!)
Avevo provato a mettere il link all'articolo, ma non si può: è necessaria la registrazione a Medal.org.

sabato 30 maggio 2009

"Il medico e lo stregone"





Ieri ho assistito alla proiezione del film "Il medico e lo stregone": una commedia italiana degli anni '50 molto piacevole e divertente, ma allo stesso tempo ricca di un messaggio educativo profondo ed ancora attuale.

Prima di parlare della discussione/riflessione derivata dalla visione del film cerco di spiegare brevemente la natura del progetto che ieri è stato presentato.
Si tratta della proiezione di una serie di otto films, a partire da gennaio prossimo, che devono ancora essere scelti, ma che avranno come tematica "Le medicine".
Le medicine possono essere intese come le medicine alternative alla tradizionale, oppure come la medicina ospedaliera e territoriale: questo è ancora da vedere.
Gli incontri saranno seguiti da forum di discussione guidata da esperti.
Il progetto terminerà con una sorta di laboratorio, ma sinceramente non ho ben capito di cosa si tratterà.
Le informazioni che sto scrivendo sono state date dalla Prof.ssa Valanzanoe da altri collaboratori impegnati nel progetto durante l'incontro di ieri; in futuro ci saranno certamente dei cambiamenti.
Il progetto, che sta nascendo anche in altre facoltà di medicina, ha come obiettivo quello di portare gli studenti, che stanno percorrendo la lunga strada della formazione, a riflettere sul lato umano del ruolo che ricopriranno in futuro attraverso la visione di un film, che è in grado di provocare reazioni emotive istantanee e pertanto può essere utile.
Si inserisce nel panorama, nella linea guida che la Prof.ssa Valanzano sta plasmando nella nostra facoltà: potenziare il carattere umano della comunicazione durante la formazione, attraverso progetti come il nostro tirocinio al primo anno, che anche se troppo lungo, aveva come finalità un aspetto degno di molto rilievo: il percepire, senza schemi di pensiero predefiniti, la vita e la comunicazione nel reparto, guardando al lato umano della cosa, ovvero guardando gli uomini, non sono i malati (neanche le malattie, che ancora non conosciamo), ma anche anche il resto del personale che si aggira in ospedale.

Il film dovrebbe indurre a questo tipo di riflessione, almeno così ho capito io, allontanandosi un po'dai soliti libri.
E' un po' come far vedere al popolo lo spettacolo teatrale per denunciare la politica: i mezzi visivi sono molto diretti.

Comunque, tornando al film, in due parole racconta la storia di un giovane medico condotto (Mastroianni) che viene mandato ad esercitare la sua professione in un paesino di montagna in cui non era arrivata la medicina, e con lei il progresso. Nel paesino le persone si facevano "curare" da don Antonio (De Sica), uno stregone che sfruttando l'ignoranza e la fiducia che il popolo aveva verso di lui, "risolveva" problemi di salute e non solo.
Il medico non riceve subito dalla gente l'apertura e il rispetto che sperava.
Il popolo rifiuta le sue cure semplicemente perchè il medico non aveva stabilito contatti, come invece aveva fatto lo stregone.
Ci vorrà del tempo perché il medico acquisti la fiducia della gente e in questo consisterà la sua formazione umana, che lo costringerà anche a giungere a dei compromessi.
Tra ciarlataneria e scienza medica, certamente vince la seconda, ma, anche se è difficile da ammettere, ha anche lei qualcosa da imparare dalla prima: il suo lato comprensivo e l' empatia (così almeno viene rappresentata la ciarlataneria nel film).

Il medico può curare e quindi aiutare solo se il paziente ha fiducia in lui e ha creato con lui una relazione umana.
Come è venuto fuori dalla discussione, il discorso può sembrare circoscritto al solo medico di medicina generale, che è il primo punto di riferimento sanitario del cittadino, ma non è vero, infatti può essere esteso anche all'equipe medica e non, in reparto: la comunicazione fra il personale tra di sé e con il paziente è la base per creare un ambiente più favorevole alla cura.

In questa riflessione sembra che sia stato lasciato da parte il lato della conoscenza in senso stretto. Non l'ho rimarcato perché è considerata fondamentale all'unanimità.
La conoscenza è conditio sine qua non, ma nella medicina è fondamentale non perdere di vista la persona con il suo vissuto e i suoi valori che vanno non solo rispettati, ma anche compresi ed accettati.

C'entra sempre la psicologia positiva e l'effetto placebo: la fiducia fa già tanto da sè.

domenica 24 maggio 2009

Anche se ancora oggi ho difficoltà a capire


La visita ormai giornaliera della blogoclasse, l'annaffiatura dei miei fiori, qualche volta mi pone dei dubbi e delle tematiche su cui riflettere che possono dare inizio ai miei usuali stream of cosciousness.
Questa sera è così.
Sensazioni avute in momenti e in luoghi diversi mi hanno portato, con più forza del solito, a chiedermi il perché sia così difficile concretizzare il desiderato.
Caso, risponderei, ma non solo.
Per fortuna, altrimenti dovrei spararmi.

"Non sono sempre i desideri a determinare il destino e la missione di un uomo: ci può essere qualcos'altro, di predestinato". Hermann Hesse

Prendendo spunto dal post di Irene (Irros'blog) sul quindicesimo anniversario dalla fondazione di Emergency trascrivo un brano tratto da "Pappagalli verdi"di Gino strada, che spero abbiate letto: non posso che ripensarci con una forte ammirazione unita a un senso di infinita piccolezza.
E'un medico anche lui, come, forse, lo saremo in tanti, ma certamente un po'diverso da molti di quelli che girano nei nostri ospedali con il camice bianco immacolato.
Avremo noi almeno un pizzico della sua forza per CREARE e per CREDERCI?

La lettura del suddetto libro/insieme di ricordi mette di fronte a una realtà inumana.
Nel mio piccolo penso: mi alzo e vado.
Ma quanta forza ci vuole a estendere quella coscia.


"Un vecchio afgano con i sandali rotti e infangati, e il turbante con la coda che scendeva fino alla cintura, stava accanto al figlio di sei anni nel pronto soccorso dell’ospedale di Quetta.

Il bambino si chiamava Khalil e aveva il volto e le mani, o quel che ne restava, coperti da abbondanti fasciature.
Stava sdraiato, immobile, la camicia annerita dall’esplosione.
Qualcuno aveva strappato una manica e ne aveva fatto un laccio, legato stretto sul braccio destro per fermare l’emorragia.

“È stato ferito da una mina giocattolo, quelle che i russi tirano sui nostri villaggi” disse Mubarak, l’infermiere che faceva anche da interprete, avvicinandosi con un catino di acqua e una spugna.

Non ci credo, è solo propaganda, ho pensato, osservando Mubarak che tagliava i vestiti e iniziava a lavare il torace del bambino, sfregando energicamente come se stesse strigliando un cavallo.
Non si è neanche mosso, il bambino, non un lamento.

In sala operatoria ho tolto le bende: la mano destra non c’era più, sostituita da un’orrenda poltiglia simile a un cavolfiore bruciacchiato, tre dita della sinistra completamente spappolate.
Avrà preso in mano una granata, mi sono detto.

Sarebbero passati solo tre giorni, prima di ricevere in ospedale un caso analogo, ancora un bambino. All’uscita dalla sala operatoria Mubarak mi mostra un frammento di plastica verde scuro, bruciacchiato dall’esplosione.
“Guarda, questo è un pezzo di mina giocattolo, l’ hanno raccolta sul luogo dell’esplosione. I nostri vecchi le chiamano pappagalli verdi…” e si mette a disegnare la forma della mina: dieci centimetri in tutto, due ali con al centro un piccolo cilindro. Sembra una farfalla più che un pappagallo, adesso posso collocare come in un puzzle il pezzo di plastica che ho in mano, è l’estremità dell’ala.
“…Vengono giù a migliaia, lanciate dagli elicotteri a bassa quota.
Chiedi ad Abdullah, l’autista dell’ospedale, uno dei bambini di suo fratello ne ha raccolta una l’anno scorso, ha perso due dita ed è rimasto cieco.”

Mine giocattolo, studiate per mutilare i bambini.
Ho dovuto crederci, anche se ancora oggi ho difficoltà a capire…

Tre anni dopo ero in Perù.
Quando me ne andai da Ayacucho, dopo mesi passati a organizzare il reparto di chirurgia, un amico peruviano, artista e poeta, mi ha regalato un retablo, una specie di presepe in gesso.
Una scena di violenza e di lotta per il diritto alla terra.

Intorno alle figurine di contadini incatenati, trascinati via da militari con il passamontagna, tante spighe di grano, molto alte, dorate.

Sopra le spighe stormi di loros, pappagalli verdi col becco adunco e gli occhi rapaci.
“Per i contadini di qui – mi disse Nestor spiegandomi il retablo – i pappagalli simboleggiano la violenza dei militari, hanno lo stesso colore delle loro uniformi.
Arrivano, si prendono il raccolto, spesso uccidono, e se ne vanno via.”

Nestor mi raccontava la misera vita della gente di quella regione andina, le sofferenze e la rassegnazione, e la violenza sistematica.
Allora gli ho detto di altri pappagalli verdi, che avevo conosciuto in Afghanistan.

Mine antiuomo di fabbricazione russa (reverse engineering di un oggetto statunitense disperso largamente in Vietnam nei primi anni '70), modello PFM-1.
Gli ho spiegato che le gettano sui villaggi, come fossero volantini pubblicitari che invitano a non perdere lo spettacolo domenicale del circo equestre.

E ho visto i suoi occhi increduli, come erano stati i miei, e le labbra aprirsi un poco in segno di sorpresa.

La forma della mina, con le due ali laterali, serve a farla volteggiare meglio. In altre parole, non cadono a picco quando vengono rilasciate dagli elicotteri, si comportano proprio come i volantini, si sparpagliano qua e là su un territorio molto più vasto.
Sono fatte così per una ragione puramente tecnica – affermano i militari – non è corretto chiamarle mine giocattolo.

Ma a me non è mai successo, tra gli sventurati feriti da queste mine che mi è capitato di operare, di trovarne uno adulto.
Neanche uno, in più di dieci anni, tutti rigorosamente bambini.

La mina non scoppia subito, spesso non si attiva se la si calpesta. Ci vuole un po’ di tempo – funziona, come dicono i manuali, per accumulo successivo di pressione.
Bisogna prenderla, maneggiarla ripetutamente, schiacciarne le ali. Chi la raccoglie insomma, può portarsela a casa, mostrarla nel cortile agli amici incuriositi, che se la passano di mano in mano, ci giocano.

Poi esploderà.

E qualcun altro farà la fine di Khalil.


Amputazione traumatica di una o di entrambe le mani, una vampata ustionante su tutto il torace e, molto spesso, la cecità.

Insopportabile.


Ho visto troppo spesso bambini che si risvegliano dall’intervento chirurgico e si ritrovano senza una gamba, o senza un braccio.
Hanno momenti di disperazione, poi, incredibilmente, si riprendono.

Ma niente è insopportabile, per loro, come svegliarsi nel buio.
I pappagalli verdi li trascinano nel buio per sempre.

Dicevo queste cose a Nestor, seduti nel suo laboratorio pieno di quadri e sculture, e di figurine in gesso da colorare.
Discorrevamo di guerra e di violenza, di repressione e di libertà, di diritti umani.
Che cosa spinge la mente umana a immaginare, a programmare la violenza?

Mentre mi parlava delle tragedie della sua terra, del massacro dei contadini di Huanta che chiedevano solo che i loro figli potessero andare a scuola, avvertivo nelle sue parole, mescolate a un atavico pessimismo, la rabbia soffocata, il desiderio di ribellione.

Ma poi, inevitabilmente, il suo pensiero tornava ai pappagalli verdi, a quelli che scendevano dal cielo nel lontano Afghanistan.
E allora Nestor scuoteva la testa, e la rabbia lasciava il posto alla tristezza, quella che riempie la mente quando non c’è più la possibilità di capire, quando è svanita la ragione ed è solo follia.

Così abbiamo immaginato – sapendo che era tutto maledettamente vero – un ingegnere efficiente e creativo, seduto alla scrivania a fare bozzetti, a disegnare la forma della PFM-1.
E poi un chimico, a decidere i dettagli tecnici del meccanismo esplosivo, e infine un generale compiaciuto del progetto, e un politico che lo approva, e operai in un’officina che ne producono a migliaia, ogni giorno.

Non sono fantasmi, purtroppo, sono esseri umani: hanno una faccia come la nostra, una famiglia come l’abbiamo noi, dei figli.
E probabilmente li accompagnano a scuola la mattina, li prendono per mano mentre attraversano la strada, ché non vadano nei pericoli, li ammoniscono a non farsi avvicinare da estranei, a non accettare caramelle o giocattoli da sconosciuti….

Poi se ne vanno in ufficio, a riprendere diligentemente il proprio lavoro, per essere sicuri che le mine funzionino a dovere, che altri bambini non si accorgano del trucco, che le raccolgano in tanti.
Più bambini mutilati, meglio se anche ciechi, e più il nemico soffre, è terrorizzato, condannato a sfamare quegli infelici per il resto degli anni.
Più bambini mutilati e ciechi, più il nemico è sconfitto, punito, umiliato.

E tutto ciò avviene dalle nostre parti, nel mondo civile, tra banche e grattacieli. Al confronto anche i loros, verdi pappagalli che infestano le Ande, sembrano meno feroci, verrebbe da dire più umani.

Non ho più saputo nulla di Mubarak, da sette anni.
Ho incontrato molti Khalil in giro per il mondo, l’ultimo si chiama Thassim.

Non è afgano, è un ragazzo curdo di quindici anni, è cieco e senza mani. L’ho operato due settimane fa, uno strano intervento chirurgico che trasforma gli avambracci e li rende simili alle chele di un granchio, o a bastoncini cinesi, perché possa afferrare gli oggetti, mangiare da solo, fumarsi una sigaretta.
Gli stiamo insegnando ad adattarsi alla nuova forma del suo corpo, a usare al meglio quel che è rimasto.

Thassim ha raccolto la sua mina, il suo maledetto pappagallo verde, vicino a Mawat, un villaggio di montagna circondato da boschi di querce, rese ancora più maestose dalla prima neve di novembre.

Lo guardo mentre cerca, per ora senza successo, di portarsi un cucchiaio alla bocca senza rovesciare la zuppa.
È stanco, e un poco frustrato, per oggi non vuole più saperne di fare esercizi."

sabato 23 maggio 2009

6°Assignment: Riflettiamo sul copyright

Io al significato di copyright non avevo mai pensato.
O meglio non mi ero mai posta il problema.
E'davvero imbarazzante arrivare anni luce più tardi nelle discussioni proposte da iamarf, ma, pazienza: ormai è routine.
Ci tengo però a giustificarmi: ho provato ad affrontare l'argomento, ma non sono riuscita a farmi un'idea soddisfacente e quindi non mi andava di scrivere niente.
Adesso la situazione non è cambiata molto, ma forse un pochino sì.

Ho anche avuto l'illusione, durante questo periodo di silenzio, di aver trovato la soluzione, la chiave per tirar fuori qualcosa di buono.
Esatto, ho pensato di aver avuto una sorta di "serendipità"!
Diversi giorni fa ho posato lo sguardo, davvero casualmente, su un libro posizionato in uno scaffale della biblioteca del mio borgo natio (che peraltro non frequento mai, se non nei momenti tragici di totale assenza di voglia, spinta dal desiderio di ritrovare la concentrazione perduta, sperando che mi venga trasmessa per osmosi dagli habitué del dotto luogo)ed era un libro che immaginavo parlasse dell'argomento.

Vi lascio immaginare il brillio nei miei occhietti a quella vista: una folgorazione!
Ma, ahimè, lo stupore è durato solo pochi secondi, il libro parlava di pubblicità: l'ispirazione mi ha toccata e ha preferito andar via, lasciandomi ebete, ad aspettare il prossimo scherzetto del caso.

Comunque, dopo la lettura del fumetto, penso che se un'idea non viene diffusa non si saprà mai che l'idea c'è stata, e non va bene, d'altro canto il povero creatore deve avere tutti i diritti del caso.

Wow: che idea rivoluzionaria!
Non c'era arrivato nessuno!
Amen, mi dispiace.

Iamarf dice"Il valore del lavoro scientifico emerge solo con la quantità delle verifiche e delle conseguenze che si confermano nel tempo".
Giustamente per trovare l'errore è giusto dare ai più la possibilità di cercarlo.

"Abbiamo il problema di dover navigare in una quantità di articoli che non aggiungono nulla se non un rumore che confonde e fa perdere tempo".
Non trovo da ribattere.
Però se penso a quello che sto facendo adesso, non so che dire: anche noi scriviamo così, senza un mirabile scopo e intasiamo consequenzialmente il sistema.
Secondo me del bello c'è: si aumenta il caos e nel caos in qualche modo, assurdo, si riesce a galleggiare, come anche lei ha detto.

Per tornare al fumetto bella quest'immagine" Fair use means you can quote like a butterfly, sting like a bee": è vero.

Come ho avuto modo di leggere l'effettiva e attuale anarchia su Internet verrà in un certo senso regolarizzata: ad oggi valgono le leggi citare dal Prof, in un domani dovrebbero essere più permissive.
In ogni modo, permissive o meno è impossibile controllarle, a mio avviso.
Che non sia giusto per quei pochi che fanno qualcosa di buono, a cui si dovrebbe dare valore, è un altro discorso.

giovedì 14 maggio 2009

Arte pura

Nureyev è sublime.



Questa interpretazione non può non emozionare.




martedì 5 maggio 2009

Io & lo Spray


Ho appena avuto tra le mani un articolo del Corriere della Sera sullo spray al peperoncino o, per chiamarlo con il suo vero nome, sullo spray urticante.
Vi invito a leggerlo.
Comunque, se non vi va, più o meno il messaggio di fondo è che lo spray ha fatto aumentare la criminalità (vengono riportati dei dati numerici), pertanto dovrebbe essere maggiormente regolamentata la sua diffusione.
Lo spray viene considerato un'arma, in tutto e per tutto, bisognerebbe quindi avere una sorta di licenza o porto d'armi,rilasciato da un questore, per possederla.
Mi sembra un po'complesso come progetto: anche le persone che ne hanno un reale bisogno, per motivi di auto-difesa, avrebbero un' eccessiva difficoltà ad appropriarsene.

Mi sono "sentita"coinvolta nella problematica e per questo ho deciso di condividere la mia visione con voi.

Premetto: io giro sempre con lo spray in borsa e, per essere precisi, in situazioni di potenziale pericolo (secondo me), che possono essere il percorrere brevi tratti a piedi di notte in strade deserte o semplicemente il sedersi in un vagone senza quasi nessuno all'interno, io tengo lo spray in mano, dentro la tasca del cappotto.

Nell'articolo è stato riportato un discorso del Segretario dei funzionari di polizia: "Ho forti dubbi che una persona normale riesca a neutralizzare il delinquente e, anzi, credo che durante il tempo necessario per cercare in tasca o in borsetta la confezione dello spray urticante il malvivente possa avere buon gioco ad aggredire la vittima".

Non sono d'accordo, o almeno lo sono solo in parte, ma non per questo si dovrebbe giustificare un' interruzione delle vendite.
E'vero che è difficile prevedere un'eventuale aggressione, ma in linea di massima è raro che questa avvenga tra la folla , magari può succedere, ma più di rado e quindi, in teoria, non si dovrebbero essere così impreparati.

Queste parole mi hanno un po'messo in confusione perché qualche tempo fa per l'opinione pubblica, tutti erano potenziali stupratori-cattivi-immigrati e bisognava difendersi, con qualsiasi mezzo. Adesso sembra che si punti il dito contro quello che, a mio avviso, è il più legittimo, e forse l'unico, strumento di auto-difesa che davvero può essere utile.
Ecco, non ci siamo.

Sono indignata perché l'articolo non prevedeva l'analisi dell'altra parte: ma dove è finita la -finta- "compassione", nel senso di patire insieme, del mese scorso, e tutto il desiderio di "proteggere" le donzelle sole e impaurite?
Inoltre ci sono solo i dati degli eventi negativi in cui è implicato l'oggettino incriminato, mentre viene accuratamente evitato il numero di stupri non avvenuti per la prontezza nell'utilizzo dello spray.

Lo so, è solo un articolo.

Capisco che lo spray possa essere utilizzato come arma per aggredire ed è pertanto dannoso, ma ci sono in commercio tante altre cose, reperibili ovunque, che possono essere altrettanto dannose. Anche un sacchetto di plastica o il coltello per la bistecca posso essere armi: fino a prova contraria non bisogna avere il porto d'armi per entrare in un negozio di casalinghi.

La differenza tra le varie, così dette "armi"è semplicemente questa: la vittima che si trova in condizioni spiacevoli può avere, forse, la forza di premere un bottone , ma certamente non quella per rispondere all'aggressione puntando il coltello alla gola del malintenzionato, anche se comprarsi, ad esempio, una mannaia sarebbe legalissimo.

La crescita della criminalità non è direttamente proporzionale alla vendita di spray.

Io mi sento più sicura con lo spray in mano.
Purtroppo i casi della vita mi hanno portato ad avere paura di certe cose, come della violenza sulle donne.
So bene, purtroppo, che in certi momenti il corpo non risponde e che avere la forza di premere un bottone in quegli istanti equivarrebbe a conquistare l'Everest senza bombole d'ossigeno in qualsiasi altro momento della vita, ma perché togliere la possibilità di farlo?
Degli effetti nocivi sul malintenzionato, a meno che non siano gravissimi, scusatemi, me ne frego.
Forse non si riesce a immaginare, neanche lontanamente, i riscontri che certi atti hanno sulla vita delle persone.
Se fosse complesso procurarseli non li userebbe nessuno: da una parte né dall'altra, e non mi sembra giusto.
Credo che comunque ci sia una sorta di effetto placebo nell'essere in possesso di uno spray: in un certo senso ci si sente meno vulnerabili.

Io dico che non ne va vietata la vendita: gli omicidi, i furti, gli stupri e le varie forme di violenza si possono fare in tanti altri modi, con mezzi facili da procurarsi e da usare, mentre per un assalito, forse, quella è l'unica via di scampo.

Plum-cake al limone


Mi dispiace aver aspettato così tanto tempo prima di pubblicare un mio semplicissimo dolce, ma devo ammettere che non ne ho più fatti, tranne un esperimento fallito su una colomba pasquale, che tutto sembrava, tranne una colomba!

Comunque questo è un Plum-cake, per altro molto veloce da fare.
Buona ricetta!
Ingredienti:
  • 180 g di zucchero a velo;
  • 2 uova;
  • 100 g di yogurt, possibilmente bianco. (Io ce l'ho messo ai frutti di bosco, ma non si sente nemmeno!)
  • 180 g di farina;
  • 1/2 bustina di lievito per dolci;
  • la buccia grattugiata di mezzo limone;
  • 50 g di burro;
  • un pizzico di sale.
Procedimento:
  1. In una terrina mettere le uova intere (io ho fatto una variante: ho montato le chiare, e le ho aggiunte dopo. Il risultato è più o meno lo stesso), aggiungere lo zucchero a velo e la buccia di limone grattugiata e montare il tutto un poco con la frusta; versare poco alla volta lo yogurt , aggiungere la farina setacciata insieme al lievito e a un pizzico di sale, il burro fuso in un tegamino e amalgamare gli ingredienti.
  2. Foderare lo stampo, leggermente imburrato, con un foglio di carta vegetale (facoltativo); versare il composto nello stampo preparato, fino a 2/3 della sua capacità e far cuocere il plum-cake in forno preriscaldato a 180° per 50 minuti circa.
  3. A cottura ultimata , sfornarlo e farlo raffreddare cospargendolo di zucchero a velo.
Buona colazione o merenda che sia!

sabato 2 maggio 2009

Omaggio ad un uomo

La paura di scivere sul blog e di commentare i blogs dei miei compagni sta iniziando a venire meno. Per fortuna.
Però in questo momento, in cui ho deciso di scrivere due parole su Panagulis l'esuberanza va via, lasciando spazio alla paura di sempre.
Ho "conosciuto"questo personaggio durante la lettura di "Un uomo"della Fallaci, libro spendido e sincero, scritto con la sua solita, meravigliosa franchezza.

Dopo averlo letto, questa storia d'amore, ma più che altro di vite inusuali e vissute in pieno, per questo interessanti, mi è rimasta dentro e mi ha portato ad amare quest'uomo che aveva ispirato tanta profondità in Oriana.
Così si apre il libro, sull'immagine del funerale di Panagulis.

"Un ruggito di dolore e di rabbia si alzava sulla città, e rintronava incessante, ossessivo, spazzando qualsiasi altro suono, scandendo la grande menzogna. Zi, zi, zi! Vive, vive, vive! Un ruggito che non aveva nulla di umano. Infatti non si alzava da esseri umani, creature con due braccia e due gambe e un pensiero proprio, si alzava da una bestia mostruosa e senza pensiero, la folla, la piovra che a mezzogiorno, incrostata di pugni chiusi, di volti distorti, di bocche contratte, aveva invaso la piazza della cattedrale ortodossa poi allungato i tentacoli nelle strade adiacenti intasandole, sommergendole con l'implacabilità della lava che nel suo straripare divora ogni ostacolo, assordandole con il suo zi, zi, zi. Sottrarsene era illusione."

Ieri ricorreva l'anniversario della morte di Alekos, il 1°maggio del '76 e con due parole mi andava di ricordarlo.
Era un eroe scomodo, sapeva troppo.
Lascio qui una sua poesia: i miei commenti sarebbero superflui, è già abbastanza eloquente .

Esplosione

Voi, tombe che camminano
insulti viventi della vita
assassini del vostro stesso pensiero
manichini antropomorfi

Voi che invidiate le bestie
che offendete l’idea del Creato
che chiedete rifugio all’ignoranza
permettete alla Paura di farvi da guida

Voi che avete dimenticato il Passato
che vedete il Presente con occhi appannati
che non avete interesse per il futuro
che respirate solo per morire

Voi che solo per gli applausi avete le mani
e che domani applaudirete
con più forza di tutti come sempre
e come ieri, e come oggi

Sappiate allora voi
scuse viventi di ogni tirannia
che i tiranni li odio tanto
tanto quanto ho schifo di voi.

Isolamento.Giugno 1971.
Scritta per la prima volta con il sangue,
su un pezzo di carta lercia.

mercoledì 29 aprile 2009

Limite sottile


Da quando il Professore ha scritto, per rispondere a un mio post, che "il vostro futuro dipende dalla vostra capacità di essere visionari", questa frase ha continuato a tornarmi in mente, con insistenza.

Io gli ho risposto che sì, bisogna essere visionari, ma non dimenticarsi la realtà.

Senza rendermene conto ho scritto, con assoluta ingenuità, due semplici parole, non valutando la difficoltà della loro attuazione.
E' qui che sta il difficile: equilibrare ragione e follia, trovare l'equilibrio perfetto, o almeno provarci.

Nel nostro futuro lavoro dovremo essere in grado di muoverci tra la ragione e la follia: inseguire un' ipotesi assurda, quando si percepisce che magari lì c'è una soluzione, fidarsi della follia e della capacità di intuire, partendo comunque dal nostro sapere.

L'intuizione è indipendente da ogni forma di ragionamento e di preconcetto, per questo è rischioso e complesso affidarsi a lei.
Ma bisogna avere il coraggio di farlo.

Pochi minuti fa ho alzato la testa e ho visto, tra i miei tanti post-it, uno che parlava dell'argomento.

"Per me l'unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi d'ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi artificiali che esplodono tra le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno...oh!"


Questo discorso mi aveva colpita qualche anno fa,quando leggevo "On the road", e l'ho sempre lasciato lì, come a ricordarmi che la vita va saputa condire anche con un po'di follia, non dimentichiamocelo mai.

Io, purtroppo, spesso lo faccio.
Kerouac parla di pazzi, non di folli, ma credo che il messaggio di queste parole sia comunque in relazione alla follia.
Avrà avuto ragione Kerouac, aveva capito lui?

Forse sì.

martedì 28 aprile 2009

5°Assignment: Delitto perfetto o alito letale?



Ho tentato un approccio con PubMed diversi giorni fa e, devo amettere, che l'ho subito trovato difficile da utilizzare per la quantità di articoli presenti e per la mia incapacità di porre degli adeguati limiti.
Con il tempo, il mio atteggiamento è gradualmente migliorato.

Ho letto l'articolo del Professore e condivido la sua visione di attuale mondo scientifico: da una parte non bisogna buttarsi ad occhi chiusi in PubMed e, più in generale, tra la moltitudine di materiale disponibile: è un salto nel buio, ma con un po'di fortuna e di pratica dovremmo essere in grado di trovare quello che ci interessa.

Io ho fatto diverse ricerche ma voglio riportare quella sulla cadaverina e sulla putrescina.

Queste 2 sostanze mi furono presentate l'anno scorso dal mio Prof di Chimica Organica, che tra l'altro ricordo con piacere, e per il loro nome -assurdo direi- e la loro potenza destarono la mia curiosità.

Il prof ci disse che questi composti organici erano prodotti della decomposizione di proteine ed erano letali.
Tali sostanze vengono liberate nella carne in putrefazione, dopo qualche ora dal decesso.
Pertanto se si prelevavano da un cadavere e si iniettavano in un altro, l'altro moriva.
Delitto perfetto perchè la cadaverina e la putrescina si sarebbero formate anche nel nuovo morto e si sarebbero mescolate con quelle inserite prima, non lasciando alcuna traccia.

Ho cercato su PubMed e in Rete approfondimenti, ma purtroppo non ci sono riuscita.
Ma nel fare questa ricerca ho scoperto che queste sostanze sono tra i responsabili dell'alitosi.

Chi fosse interessato, questo è l'articolo.

Questa patologia è causata ,di solito, dalla proliferazione di batteri anaerobi nel cavo orale che producono, tra le varie sostanze, anche cadaverina e putrescina, che "donano" il cattivo odore all'alito.

Per chi fosse interessato all'argomento, decomposizione e simili, consiglio un libro "Stecchiti. Le vite curiose dei cadaveri" di Roach Mary, una giornalista che ha raccontato brillantemente la sua ricerca sui cadaveri donati alla scienza negli USA.
E'interessantissimo e scritto molto bene: sono dosate alla perfezione ironia e informazioni di carattere scientifico.

venerdì 17 aprile 2009

Il Vespasiano di viale Pieraccini

Cari colleghi,
mi stupisco che nessuno di voi si sia ancora preso la briga di parlare del vespasiano/orinatoio/pisciatoio (chiamatelo un po'come vi pare!) di Viale Pieraccini.
Quindi ho preso la parola.
Non mi dite che non l'avete mai notato, che non avete mai assistito all'indecente spettacolo di un caro vecchietto che continua il suo bisogno incurante di te, che stai mangiando, felice e beato, la brioche di prima mattina, e ti concedi una sorta di passeggiata prima di finire al Cubo?
IO DETESTO QUEL VESPASIANO.
Emana un odore repellente ed è l'anti-igienicità allo stato puro e, da notare, è alle porte di Careggi!
Un minimo di civiltà: ci sentiamo tanto sopra le parti, tanto civilizzati e avanti ma non siamo in grado di eliminare quello che c'è di diseducativo nella città, in una via frequentata come quella.
Diamo una bella immagine di progresso.

Ma la colpa non è del singolo che usufruisce del servizio, ma di chi lo permette.
Non ci sono bagni pubblici a Firenze.

Non oso immaginare la quantità di batteri/amebe/protozoi che felicemente stanno figliando mentre noi passiamo indisturbati lì accanto.

Epidemia di colera, dove? Nei pressi di Careggi.
Ovviamente è un esempio paradossale, per fortuna, ma quello che mi innervosisce è il principio e l'ipocrisia che stanno intorno a certe cose.

Ci lamentiamo e ingiuriamo con tutta la facilità di questo mondo contro le persone che imbrattano muri e porte di bei palazzi con le bombolette e che non lo possono fare, ma mettiamo in condizione tutti di utilizzare questo orinatoio: se c'è, si usa, è legale.

Bell'esempio.

Ora, non sono una squilibrata che non ha da pensare ad altro...sono altri i veri problemi dell'Italia e anche di Firenze, ma ho reputato opportuno dedicare un post al mio sdegno.
Tutto qui. Esprimete il vostro, se l'avete!

Se la cosa interessa anche a qualcun'altro magari si potrebbe fare una petizione, ma insomma, magari non l'avete neanche notato e, se l'avete notato, forse non vi ha disturbato abbastanza.

3°Assignment : Coltivare le connessioni

Questo articolo ha la capacità di non lasciare indifferenti: cosa che non va assolutamente sottovalutata.
Allo stesso tempo invia una moltitudine di stimoli che sono difficili da gestire e indirizzare verso un'unica tesi.
Procederò seguendo le questioni che mi hanno maggiormente colpita.

Innanzi tutto non riesco ad essere così pessimista riguardo alla nostra società. Del buono c'è, il difficile è saperlo vedere.
Riconosco che questa "abbia l'incapacità di cogliere il valore del nuovo" ma non mi sento di dover attribuire tutta la colpa alla scolarizzazione: il nuovo ha sempre creato disagio e non accettazione anche in società "primitive", intendendo come tali le società non "sopraffatte" dalla scolarizzazione.
Lo smarrimento e il timore che accompagna questo tipo di passaggio è insito nell'uomo e la Scuola, benché arma potentissima, non è in grado di combatterlo: magari potesse farlo.
Con questi presupposti riconosco però che la rigidità sia assolutamente negativa.

Il sistema di Istruzione/formazione è una cosa viva in quanto ha le caratteristiche che il Professore considera peculiari per la vita, e che io condivido: "ha capacità autogenerative ed è in grado di impiegare i propri componenti per trasformare o costruire nuovi componenti".
La Scuola essendo fatta di persone, le stesse che stanno dietro ad un nick, per definizione è un qualcosa, un'istituzione è riduttivo, di basilare e di potenzialmente potente.
Il problema però solo gli stessi individui che da una parte le danno vita e dall'altra uccidono parte del senso di tutto questo terreno che non è sterile, ma potrebbe essere molto più fecondo.

Sinceramente non riesco a concepire l'idea di apprendimento trasversale. Nei prossimi giorni leggerò "Lettera a una professoressa" ma per adesso rimango scettica. Non conoscendo a fondo il tipo di insegnamento non posso dare una mia vera visione a riguardo, ma almeno posso dire quello che ad oggi, con il mio schema di pensiero e con quel "qualcos'altro" che per fortuna non rientra nello schema, non riesco ad immaginare questo tipo di apprendimento.
Mi spiego.
La Scuola, secondo me, deve essere gerarchica, almeno in un primo momento.
Il compito del giovane è appunto quello di imparare dall'adulto che ha capito più di lui, per una serie di motivi.
Qualsiasi tipo di conoscenza, dalla più pratica e quotidiana alla più raffinata, deve essere inviata in modo da poter essere ricevuta.

Il problema sta nei mezzi di questo passaggio di informazione.
Ovviamente l'apprendimento dipende dall'intenzione e dall'attenzione di chi dà e di chi riceve, ma è colui che dà che ha la possibilità di modellare il ricevente affinché apprenda.

La curiosità del ragazzo nella norma deve essere stimolata dall'esterno in modo che lo stimolo si trasformi in mezzo di nuovo apprendimento. Il ragazzo eccezionale ha la sensibilità e la capacità di trovare in il senso e la ragione della ricerca interna ed esterna.

Purtroppo credo di poter dirmi nella schiera di quelli cosiddetti "normali", la cui curiosità viene sollecitata da qualcuno che sta sopra che è in grado di far sentire che lui "ha capito" se non tutto, che è impossibile, almeno qualcosa di complesso da raggiungere, e che è in grado in aiutarti a farlo a tua volta.

Senza volerlo sono giunta a parlare del Maestro, dell'anziano che ti prende per mano senza che tu te ne renda conto e che al momento giusto ti lascia percorrere la strada che da oscura e priva di significato è diventata, per la tua percezione, una danza di vita.

Questo è ciò che si spera di trovare all'interno della classe, noi nostalgici. E'raro, ma anche lì si può trovare il Maestro. L'obiettivo verso cui dovrebbe mirare l'istruzione dovrebbe essere proprio questo,ma proprio nel momento in cui le mie dita stanno scrivendo, la ragione mi riporta sulla terra e mi dice che è pura utopia: ad ognuno il Suo Maestro.

Che il Professore parli del PLE come una sorta di Maestro che ti crei?
Potrebbe essere una possibilità.
Potenzialmente la cosa mi colpisce, ma sono troppo (o troppo poco?) scolarizzata per condividerla e crederci in pieno.

Per quanto riguarda la Rete, e la vita che in essa fluisce, mi rendo conto che è un mezzo di apprendimento esaltante ma allo stesso tempo dispersivo.
Per quanto le connessioni stabilite tra noi nodi della Rete, non possono che essere considerate esperienze positive e formative, per capire l'importanza di tutto questo ci deve essere, a mio avviso, qualcosa di concreto, che respira che riesce a farti apprezzare la vita pulsante e farti andare oltre la freddezza dello schermo.
Io, da retrograda, vedo il Maestro, il mio Mastro in qualcuno che mi insegna a guardare negli occhi,nel cui sguardo riesco a vedere gli anni e i pensieri che lo hanno accompagnato, che con la sua esperienza mi mette davanti la vita in modo che io possa capire, con lui, ma da sola, l'importanza dei rapporti umani, della modulazione della voce e che mi insegna con semplicità a vivere là fuori, cosa che lui lo sa fare ed io ancora no.

Là, dietro lo schermo , tra le righe di un libro e nei silenzi di una scena cinematografica ci possono stare dei mezzi, degli aiuti a capire.
I più fortunati già da soli capiscono l'importanza di tutto questo. Io, forse,ho avuto più fortuna ad avere un maestro che mi ha dato il necessario per capire il mio percorso e le chiavi per percorrerlo: sta a me rintracciarle dentro. "I semi della novità germogliano quando il terreno che li accoglie è pronto": ci vorrà tempo.

Comunque, qualunque siano i mezzi sono convinta che ci sia bisogno di qualcuno di reale che te li dia, in modo da farti diventare a tua volta un Maestro per qualcun altro. Nietzsche diceva "non c'è niente da fare: ogni Maestro ha un solo allievo, e questo gli diventa infedele perché è destinato anche lui a diventare Maestro".
Per adesso non conosco la possibilità di Maestri non veri, ma non la escludo.
Secondo me è solo più formativo averne uno reale.

Il fine ultimo è comunque l'imparare a camminare nel proprio bosco non dimenticandosi che la ricerca interiore è la più costruttiva.

Aggiungo che io nella Rete mi perdo: i Maestri, i Social Network, come Delicius, sono utilissimi, ma se non avessi avuto la scuola, con i mezzi, e il Maestro, con le soluzioni, mi perderei anch'io, come ancora faccio.
L'istruzione genera il dubbio e il dubbio la conoscenza.

Io vivo in una realtà piuttosto piccola, ma il senso di appartenenza alla comunità sta scomparendo. In questo vortice ho ancora la fortuna di parlare con anziani e anche di osservarli: i loro nodi sono più vicini dei nostri.
Uno di questi anziani mi disse che "l'uomo è l'unico animale che distrugge il proprio ambiente naturale". In un primo momento questa affermazione mi sembrò giusta ma il mio pensiero andò esclusivamente all'ambiente fisico che distruggiamo. Adesso posso dire che l'ambiente naturale dell'uomo sono le Reti, dalla realtà di strada alla blogoclasse, e in qualche modo dobbiamo interrompere il processo di distruzione e continuare a coltivare le connessioni reali e quelle virtuali. L'ideale è l'equilibrio, come sempre.

Concludo dicendo che per imparare ad usare Internet serve qualcosa: se non avessi frequentato la scuola non mi sarei posta certe questioni da approfondire nella Rete e non sarei in grado di trovarne di nuove e stimolanti.

venerdì 10 aprile 2009

Doni?


Salve,
da un po'di tempo ho deciso di scrivere un post sulla donazione del sangue e, pur sapendo che non dirò niente di nuovo e di illuminante, voglio provare a dire la mia opinione a riguardo.
Credo che questa pratica,largamente pubblicizzata, non sia entrata con "prepotenza" nella vita della maggior parte della popolazione che gode di buona salute.
Per quanto mi riguarda, conosco davvero poche persone che donano, molte che non considerano minimamente la possibilità e che non ne valutano l'importanza.
Mi auguro che nell'ambiente della blogoclasse la situazione sia un po'diversa, anzi ne sono certa, ma comunque ho inserito un sondaggio sul vostro rapporto con la donazione.
Il motivo per cui l'ho fatto è perchè quando siamo di fronte a una domanda, riflettiamo.

E'normale che la riflessione conduca alla valutazione del proprio comportamento e magari questo può far scattare qualcosa.
Voglio sottolineare che non l'ho inserito per far sentire in colpa chi non dona, nè per sentirmi migliore di chi non lo fa.
Forse penserete che gli articoli scritti su argomentiti di questo tipo abbiano come fine quello di sentirsi la coscienza a posto: io non la penso così.
Non vale la consequenzialità "se io dono allora sono più buona e brava di te".
Infatti, secondo me, il semplice gesto della donazione è un atto civile, di buon senso, non è eroico: per fare un esempio pratico è come chiamare il 118 se ci si trova davanti a un incidente.
Nella mia testa il meccanismo è pressappoco lo stesso.
"Sono sana e sto bene, che me ne faccio di tutto questo sangue se il mio midollo può benissimo riprodurlo velocemente, mentre quello di altri non può?".
Allora dono, così come chiamo il 118 : in entrambi i casi non mi costa niente.
Secondo me dovrebbere essere obbligatorio donare,qualora si abbiano i requisiti previsti.
Il sangue donato è fondamentale per i cosidetti "politrasfusi" ovvero pazienti affetti da leucemia, talassemia, emofilia, epatopatie e anemie varie, ma anche per i trapianti diretti.
Noi, attualmente dipendiamo dall'estero e dato che
il sangue è un bene rinnovabile mi sembra quasi paradossale non essere autosufficienti.

Naturalmente mi auguro che qualcuno decida di donare dopo aver risposto a una banalissima domanda.
Ci tengo a precisare che la motivazione che mi ha spinto a scrivere un post sull'argomento è stata la notizia di un po'di tempo fa sul sangue artificiale, che tutti avrete sentito.
Se non l'avete fatto,cliccate qui.
Comunque, in breve "un centro di ricerca inglese ha promesso che nel corso di 3 anni verrà messo a punto il sangue artificiale".
La notizia di per sè è formidabile.
Basta un attimo, però, per rendersi conto che dietro una così brillante scoperta ci sono una serie di problematiche logistiche ma soprattutto economiche.
Chissà quanto costerà questo sangue bionico?
E chissà dopo quanto tempo sarà una risorsa utilizzabile nei nostri ospedali?
Magari quando noi saremo già in pensione.
Quindi, perchè aspettare con le mani in mano questi 3 o più anni?
Basta trovare un po'di tempo: il Cubo è davanti alla Piastra dei Servizi, ma comunque in ogni ospedale c'è il Centro Trasfusionale.
Io ho aspettato molto prima di donare: non sono agofobica-esisterà??-, nè particolarmente affezionata al mio sangue-un po'lo siamo tutti!-,ma tra una cosa e l'altra, pur avendo sempre avuto il desiderio di donare, mi sono decisa a farlo solo pochi mesi fa, dopo aver rimandato un sacco di volte.
Spero che la mia voce, venga almeno sentita, se non ascoltata: "Siate voi il cambiamento che volete nel mondo" Gandhi.
Vi invito a lasciare le vostre opinioni e esperienze.
Sicuramente qualcuno di voi farà parte di un'associazione di donatori, può gentilmente spiegarmi le differenze che ci sono con chi non è iscritto, ma comunque dona?
Grazie.

P.S: Non mi tornano due cose sui requisiti per i donatori:
  • Peso maggiore di 50 Kg. Se uno è 50 Kg ma è molto basso perchè non dovrebbe donare? Andrebbe considerato il rapporto peso/altezza;
  • Bisogna essere maggiorenni per donare, ma perchè si può guidare il motorino a 14 anni? Assurdo. Magari dipenderà dalla sviluppo, ma penso che in linea di massima a 16 anni si sia già sviluppati e maturi(in teoria) per decidere cosa fare del proprio sangue.