Ieri ho assistito alla proiezione del film "Il medico e lo stregone": una commedia italiana degli anni '50 molto piacevole e divertente, ma allo stesso tempo ricca di un messaggio educativo profondo ed ancora attuale.
Prima di parlare della discussione/riflessione derivata dalla visione del film cerco di spiegare brevemente la natura del progetto che ieri è stato presentato.
Si tratta della proiezione di una serie di otto films, a partire da gennaio prossimo, che devono ancora essere scelti, ma che avranno come tematica "Le medicine".
Le medicine possono essere intese come le medicine alternative alla tradizionale, oppure come la medicina ospedaliera e territoriale: questo è ancora da vedere.
Gli incontri saranno seguiti da forum di discussione guidata da esperti.
Il progetto terminerà con una sorta di laboratorio, ma sinceramente non ho ben capito di cosa si tratterà.
Le informazioni che sto scrivendo sono state date dalla Prof.ssa Valanzanoe da altri collaboratori impegnati nel progetto durante l'incontro di ieri; in futuro ci saranno certamente dei cambiamenti.
Il progetto, che sta nascendo anche in altre facoltà di medicina, ha come obiettivo quello di portare gli studenti, che stanno percorrendo la lunga strada della formazione, a riflettere sul lato umano del ruolo che ricopriranno in futuro attraverso la visione di un film, che è in grado di provocare reazioni emotive istantanee e pertanto può essere utile.
Si inserisce nel panorama, nella linea guida che la Prof.ssa Valanzano sta plasmando nella nostra facoltà: potenziare il carattere umano della comunicazione durante la formazione, attraverso progetti come il nostro tirocinio al primo anno, che anche se troppo lungo, aveva come finalità un aspetto degno di molto rilievo: il percepire, senza schemi di pensiero predefiniti, la vita e la comunicazione nel reparto, guardando al lato umano della cosa, ovvero guardando gli uomini, non sono i malati (neanche le malattie, che ancora non conosciamo), ma anche anche il resto del personale che si aggira in ospedale.
Il film dovrebbe indurre a questo tipo di riflessione, almeno così ho capito io, allontanandosi un po'dai soliti libri.
E' un po' come far vedere al popolo lo spettacolo teatrale per denunciare la politica: i mezzi visivi sono molto diretti.
Comunque, tornando al film, in due parole racconta la storia di un giovane medico condotto (Mastroianni) che viene mandato ad esercitare la sua professione in un paesino di montagna in cui non era arrivata la medicina, e con lei il progresso. Nel paesino le persone si facevano "curare" da don Antonio (De Sica), uno stregone che sfruttando l'ignoranza e la fiducia che il popolo aveva verso di lui, "risolveva" problemi di salute e non solo.
Il medico non riceve subito dalla gente l'apertura e il rispetto che sperava.
Il popolo rifiuta le sue cure semplicemente perchè il medico non aveva stabilito contatti, come invece aveva fatto lo stregone.
Ci vorrà del tempo perché il medico acquisti la fiducia della gente e in questo consisterà la sua formazione umana, che lo costringerà anche a giungere a dei compromessi.
Tra ciarlataneria e scienza medica, certamente vince la seconda, ma, anche se è difficile da ammettere, ha anche lei qualcosa da imparare dalla prima: il suo lato comprensivo e l' empatia (così almeno viene rappresentata la ciarlataneria nel film).
Il medico può curare e quindi aiutare solo se il paziente ha fiducia in lui e ha creato con lui una relazione umana.
Come è venuto fuori dalla discussione, il discorso può sembrare circoscritto al solo medico di medicina generale, che è il primo punto di riferimento sanitario del cittadino, ma non è vero, infatti può essere esteso anche all'equipe medica e non, in reparto: la comunicazione fra il personale tra di sé e con il paziente è la base per creare un ambiente più favorevole alla cura.
In questa riflessione sembra che sia stato lasciato da parte il lato della conoscenza in senso stretto. Non l'ho rimarcato perché è considerata fondamentale all'unanimità.
La conoscenza è conditio sine qua non, ma nella medicina è fondamentale non perdere di vista la persona con il suo vissuto e i suoi valori che vanno non solo rispettati, ma anche compresi ed accettati.
C'entra sempre la psicologia positiva e l'effetto placebo: la fiducia fa già tanto da sè.